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Questo articolo è stato pubblicato il 28 gennaio 2011 alle ore 08:00.
Joseph Stiglitz, premio Nobel per l'economia, non è tenero con la marea montante a Davos di lamentele dei banchieri globali che cercano di evitare l'iper-regolamentazione che secondo loro porterebbero a passare parte delle attività allo shadow banking system, una zona più opaca del sistema finanziario. «Anzi alcuni parlano di spostare le attività più a rischio e più redditizie – dice Stefano Aversa presidente di Alix partner, società di consulenza - verso zone meno regolamentate come Hong Kong o Singapore. Meglio sarebbe lavorare sui ratios tipo capitale contro esposizione».
Il dibattito infuria nei corridoi del Congress center del Wef. Per Mario Greco, ceo del ramo General insurance alla Zurich Financial services, «tutti a Davos sperano che si prenda tempo lasciando il compito all'economia di riformarsi senza cambiare le regole del gioco del sistema finanziario. Questo però non è pienamente accettato dal punto di vista sociale e politico e da qui le tensioni sottostanti tra banchieri e politici».
In questo clima infuocato chiediamo al Nobel Stiglitz: cosa pensa della riforme di Obama al sistema finanziario?
Le riforme fatte al sistema finanziario americano come la Dood-Frank bill per esempio non sono chiaramente sufficienti, sono solo un passo nella giusta direzione, più nel senso dei principi che nella loro attuazione pratica. A causa dell'influenza eccessiva del sistema finanziario che vuole difendersi, con alcune rare eccezioni, nessuno crede seriamente che oggi siamo più protetti dall'arrivo di una nuova crisi finanziaria. Per esempio il tema delle "banche troppo grandi per fallire non è risolto affatto, anzi è peggiorato perché a causa della crisi oggi il sistema bancario americano è ancora più concentrato a causa dei consolidamenti effettuati. Circa le decisoni delle autorità di controllo, passata la bufera politica nel momento peggiore della crisi, si è attenuta la volontà politica di mettere in riga le banche. La teoria economica è molto chiara in proposito i benefici per la società nel suo complesso dell'indebitamento eccessivo e dell'uso della leva finanziaria sono molto bassi mentre i costi sono molto alti. Cinquanta anni fa il premio Nobel Franco Modigliani, il più grande italiano che ho conosciuto, spiegò che l'aumento della leva finaziaria non vale nulla per la creazione di valore ma con molta probabilità avrebbe portato alla bancarotta e alla privatizzazione dei profitti e alla socializzazione delle perdite. Ciò che è interessante è che i banchieri dopo cinquanta anni dal monito di Modigliani non l'hanno ancora capito.