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Questo articolo è stato pubblicato il 30 novembre 2010 alle ore 16:58.
Un giorno Ekaterinburg non sarà ricordata tanto per aver visto uccidere lo zar Nicola e la sua famiglia, né per essere - con il vecchio nome di Sverdlovsk - il luogo dove nacque Boris Eltsin: Ekaterinburg - ha detto ieri il presidente russo Dmitrij Medvedev ospitando nella capitale degli Urali ben due summit internazionali - «è l'epicentro della politica mondiale». Una politica, però, da cui è assente il mondo occidentale.
Vertice Sco la mattina, vertice Bric al pomeriggio. Il primo è il Gruppo di Shanghai, lavora per rafforzare la cooperazione economica e la sicurezza tra i paesi dell'Asia centrale: dunque Cina e Russia insieme a Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan. Bric invece è l'ormai famosissimo acronimo che raccoglie Brasile, Russia, India e Cina nel comune desiderio di cambiare la geografia commerciale e politica del mondo, di contare di più in una comunità internazionale in cui le economie emergenti più dinamiche soffrono la dipendenza dagli Stati Uniti, dal loro debito e dal dollaro, preoccupazione acutizzata dalla crisi finanziaria.
Il tema comune ai due vertici è stato dunque il desiderio di riformare l'ordine finanziario globale distribuendo i ruoli con maggiore equilibrio. Il desiderio, più che l'attuazione pratica. Quando a sera i leader dei Bric hanno tirato le conclusioni, dalla dichiarazione finale congiunta erano svaniti i riferimenti a una valuta di riserva sovranazionale, e il dollaro appariva di sfuggita nel documento. In un mondo in cui i quattro paesi, insieme, custodiscono 2.800 miliardi di riserve denominate per lo più in dollari per sostenere le rispettive valute, la campagna contro la moneta americana può diventare un boomerang: la Cina, da sola, conta 763,5 miliardi di dollari in titoli del Tesoro americano. E tuttavia, la dichiarazione auspica «un sistema monetario internazionale stabile, prevedibile e più diversificato»: abbastanza per innervosire il diretto interessato, che ha perso lo 0,4% del proprio valore contro l'euro finendo a 1,3840. Questo malgrado nei giorni scorsi fosse stato proprio il ministro delle Finanze russo, Aleksej Kudrin, a rilanciare il dollaro affermando che è troppo presto per parlare di valute di riserva.
Qualcuno nota delle dissonanze all'interno del Cremlino. «Il sistema valutario globale non può avere successo se gli strumenti finanziari sono denominati soltanto in una valuta», ha ripetuto ieri Medvedev agli ospiti: il premier indiano Manmohan Singh, il presidente cinese Hu Jintao, il presidente brasiliano Ignacio Lula da Silva. La loro voce che chiede spazio rappresenta il 40% dell'economia mondiale, il 15% del Pil (rispetto al 7,5% di dieci anni fa). Ricollegandosi all'invito rivolto ai paesi del Gruppo di Shanghai in mattinata, Medvedev ha incoraggiato l'uso delle rispettive valute negli scambi commerciali mentre il suo consigliere economico, Arkadij Dvorkovich, ha auspicato l'ingresso di rublo e yuan nel basket di monete sulle quali il Fondo monetario internazionale costruisce la propria unità di conto, i diritti speciali di prelievo. La promozione delle valute regionali, aveva detto Dvorkovich, passa anche dall'impegno a investire una parte delle rispettive riserve in bond degli altri paesi Bric: ma anche questa possibilità non compare nelle conclusioni distribuite alla stampa.