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Finanza e Mercati In primo piano

Turchia, un ponte strategico per l'Asia centrale

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 gennaio 2011 alle ore 15:16.

Oggi la chiamano la "Cina d'Europa". Per decenni, tra crisi e salvataggi Fmi, è stata il malato d'Europa. È l'istantanea del grande balzo in avanti compiuto dalla Turchia, il paese che più velocemente ha reagito alla grande recessione nell'area Ocse. Un'economia che accelera grazie al carburante propulsivo di riforme non solo annunciate, di privatizzazioni in corso e, soprattutto, di una popolazione di 72 milioni d'abitanti con età media di soli 29 anni contro i 40 del resto d'Europa. Al punto che, secondo alcune previsioni, la Turchia è destinata a divenire la decima economia mondiale entro il 2050.

Un Paese cui guardare con attenzione nel 2011 e negli anni a venire. Non solo per le elezioni parlamentari di giugno che daranno i voti al partito e al governo islamico di Erdogan. Ma per l'attivismo che Ankara va dimostrando su tutti i fronti: da quello economico e a quello geo-strategico. Attore di primo piano, dunque, nel mondo dei nuovi equilibri uscito dallo scorso decennio, come hanno confermato tutti gli analisti intervenuti al recente Executive Briefing Turchia dell'Ispi di Milano, a partire dall'ambasciatore Carlo Marsili e dalla neo-presidente di Indesit Turkey, Neriman Ulsever.
Ma alla Turchia occorre guardare con occhi liberi dai pregiudizi del passato, sfrondando la mente dagli stereotipi del presente. Nel nuovo panorama internazionale è uno dei "paesi ponte" che potranno mediare tra realtà diverse alla ricerca di un linguaggio comune. Come la Corea del Sud si è fatta ponte tra paesi industrialmente avanzati e paesi in via di sviluppo, la Turchia è ponte tra Europa e Asia, tra Occidente e Islam. Rinvigorita nell'azione dal suo nuovo attivismo diplomatico in Medio Oriente, nei Balcani e in Africa, all'insegna del credo politico «zero problemi con i vicini» portato avanti nell'ultimo decennio dal ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu. Quel "neo-ottomanesimo", com'è stato chiamato, che ha impensierito Usa ed Europa ma che ha fatto della Turchia un gigante diplomatico locale: un Brasile dell'area, con riferimento alla partita che va oggi giocando il gigante sudamericano.

Al di là dell'interesse del mercato interno (con gli incentivi delle sue zone economiche speciali, una classe media in marcia a partire dalle effervescenti città di Istanbul o Smirne, la carta energetica della sua rete di oleodotti e gasdotti), è proprio la sua funzione di "ponte" che rende interessante a questo punto la Turchia per le imprese italiane. In un'ottica di sbocco per i prodotti made in Italy, ma anche per produzioni locali destinate al mercato domestico come ai mercati dell'area. Senza dimenticare la rete delle comunità turcofone che copre in pratica tutta l'Asia centrale per arrivare ai confini con la Cina. Perché dunque non pensare a cooperazioni bi o trilaterali per andare alla conquista di mercati ancora poco conosciuti e piuttosto difficili, ma potenzialmente ricchissimi, quali sono i paesi dell'Asia centrale? La Via della seta del terzo millennio riserva occasioni di business per tutti. E, di qua e di là del Bosforo, le imprese italiane (ancora manipolo sparuto rispetto ad altri più agguerriti concorrenti, cinesi compresi) potrebbero ritrovarsi avvantaggiate dai buoni rapporti esistenti tra Ankara e Roma, per il sostegno che l'Italia ha sempre dato alla Turchia per il suo contestato ingresso nella Ue. Pertanto, come l'Europa non può permettersi di perdere "la sua Cina", e l'America un tradizionale bastione dell'Alleanza atlantica, lasciandolo veleggiare verso più accoglienti lidi asiatici o islamici, così il sistema paese Italia non può non cogliere a tempo il caleidoscopio delle opportunità targate Turchia. Dall'energia alle costruzioni all'auto, dai servizi alla green economy.

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