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Questo articolo è stato pubblicato il 15 febbraio 2011 alle ore 07:38.

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Intesa sul fondo salvastatiIntesa sul fondo salvastati

Dal nostro inviato Adriana Cerretelli
Nessuna decisione era attesa e nessuna c'è stata. Tranne una: la scelta unanime del belga Peter Praet come nuovo membro del direttivo della Bce in sostituzione dell'austriaca Gertrude Tumpel-Gugerell che scadrà a fine maggio.

Draghi: Italia non a rischio. Germania modello di crescita (di Rossella Bocciarelli)

«I lavori sono in corso però non ci sarà accordo su niente finché non si sarà accordo su tutto» ha ricordato ieri sera, al termine della riunione dei ministri finanziari dell'Eurogruppo (raggiunti in coda dai 27 dell'Ecofin) il presidente Jean-Claude Juncker affermando che «la situazione sul mercato dei debiti sovrani resta preoccupante mentre la ripresa economica si consolida».

Al centro delle discussioni il pacchetto globale di riforme per rispondere in modo efficace alla crisi dell'euro: patto di stabilità rafforzato con parametri più stretti (ma indigesti a Italia e Grecia) per il debito pubblico, Fondo europeo di stabilizzazione più ricco e flessibile e infine patto di competitività promosso dalla Germania.

Per quest'ultimo il momento della verità arriverà al vertice straordinario dei 17 capi di governo dell'area euro l'11 marzo. Dopo di che nuova riunione dei ministri dell'Eurogruppo il 14: dovrebbe essere quella decisiva. In caso contrario Juncker ha annunciato che ne convocherà un'altra il 21. Il tutto per poter chiudere come previsto con un'intesa complessiva al vertice Ue del 24-25 marzo.

Si è discusso di tutto ieri, a cominciare dal fondo salva-Stati attuale e futuro. Nel caso dell'ESM, il meccanismo europeo di stabilizzazione che decollerà a metà 2013, Juncker ha annunciato l'accordo per «dotarlo di una capacità di erogare prestiti per 500 miliardi, una cifra da rivedere regolarmente almeno ogni due anni».

Per il resto sono stati valutati i pro e i contro di tutte le diverse opzioni sul tavolo. Anche se il tedesco Wolfgang Schauble ieri ha ribadito che «i mercati sono così stabili che non c'è ragione di decidere sul rafforzamento a breve dell'Efsf», i ministri hanno discusso su come portare a 440 miliardi effettivi (contro i 250 attuali) la capacità dell'attuale facility di erogare prestiti.

Sembra che l'aumento delle garanzie di stato per tutti sia la strada più probabile. Sulla flessibilità dei margini di azione del fondo, permane il no tedesco all'ipotesi di acquisto dei bond sovrani sul mercato secondario. Aperta invece quella di interventi sul mercato primario e di prestiti ai paesi in crisi per operazioni di buy-back. Si è parlato anche dello riscadenziamento dei prestiti concessi a Grecia e Irlanda e di un eventuale taglio dei tassi di interessi dal 5 al 4%. «Nella riforma dell'EFSF va inclusa la possibilità di ridurre i tassi per garantire la sostenibilità del debito» ha sottolineato il commissario Ue Olli Rehn.

Anche se ufficialmente non era sul tavolo perché alla sua formulazione sta lavorando il presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy in vista del vertice dell'11 marzo, il patto di competitività tedesco-francese non poteva non irrompere nelle discussioni di ieri sera. Visto che la Germania condiziona alla sua adozione il proprio via libera all'aumento delle risorse del fondo salva-Stati.

«Vedremo al vertice i contenuti di questo patto. E allora decideremo anche quale sarà il suo reale valore aggiunto» ha precisato Juncker, platealmente ostile a un'iniziativa che nasce fuori dal quadro comunitario, targata dall'egemonismo tedesco-francese». Perfino l'olandese Jan Kees de Jager, noto rigorista, ha fatto trapelare apertamente il suo dissenso: «Anche l'Olanda ha le sue idee sulla competitività. Non si vede perché dovremmo accettare il diktat dei franco-tedeschi».

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