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Questo articolo è stato pubblicato il 13 marzo 2011 alle ore 13:35.
Correva l'anno 1985 quando il gruppo Fidterziario di Luciano Tarditi, finì in liquidazione coatta amministrativa con un buco di 100 miliardi e 1.300 investitori coinvolti. Tanto per contestualizzare: quell'anno Michael Gorbachov veniva nominato segretario generale del Pcus, dei terroristi palestinesi dirottavano la nave Achille Lauro. La scorsa settimana il commissario straordinario del gruppo Fidterziario è stato arrestato per peculato nell'ambito della medesima procedura e in quella relativa a un'altra società (la Fidingest) saltata più di recente: nel 1988. Sarebbe sin troppo facile ironizzare sui tempi geologici delle procedure italiane.
La casistica dei ko della finanza è vasta. Come lungo è l'elenco dei bond finiti in default tecnico, e quello dei titoli azionari a valore pressoché azzerato. Tralasciando i più celebrati (Parmalat, Cirio, Argentina) ecco alcuni nomi: La Veggia, Giacomelli, Cerutti, Freedomland, Finmatica, e i più recenti casi come quello di Mariella Burani Fashion Group.
Non mollare mai
E allora, dati i tempi della giustizia, e delle procedure, l'ipotesi di farsi ridare i soldi (o una parte dei soldi) è realistica o rischia di diventare una barzelletta che non fa ridere nessuno?
Va preliminarmente sottolineato che la strada dei tribunali è lunga e tortuosa, che gli ostacoli sono tanti e non facilmente aggirabili però, se si ha la pazienza di aspettare, qualche risultato concreto può giungere.
Esiste, infatti, un'oramai consolidata giurisprudenza favorevole ai risparmiatori e negli ultimi quindici anni, nelle aule dei tribunali, si è formato un plotone di avvocati particolarmente esperti nella materia che hanno ottenuto significativi successi sia in sede penale sia in sede civile. Il che depone a favore della resistenza a oltranza. Si obietterà: ma le cause, oltre a durare tempi infiniti, costano care. Vero, ma non del tutto. Dal luglio 2006, con l'entrata in vigore del decreto legislativo 233 (il decreto Bersani), è caduta la norma che vietava agli avvocati di sottoscrivere i cosiddetti patti di quota lite.
Patti di quote liti possibili
Così oggi è possibile accordarsi preliminarmente su una cifra da corrispondere al legale in caso di successo. A maggior ragione può avere senso se si agisce dietro lo scudo delle oramai numerose associazioni di tutela del risparmio che si sono costituite negli ultimi anni. Paola Pàmpana, avvocatessa romana, preferisce lavorare da sola e, da sola, da anni ha intrapreso una strada complessa: tentare di coinvolgere nei processi gli organi statali di controllo e di vigilanza. «In alcuni dei casi da noi affrontati, abbiamo verificato lacune nei controlli, da parte degli organi istituzionali. In alcuni casi – spiega Pàmpana –(Sfa, Girardi) si trattava della Consob, in altri (Italfin e Otc Previdenza ) abbiamo avuto a che fare con l'ex ministero dell'Industria. In un caso soltanto (quello della Cooperativa Cofiri di Civitavecchia, per cui è in corso il giudizio d'appello), la nostra controparte è l'equivalente odierno del ministero del lavoro (il Welfare)». Risultati? «In qualche caso abbiamo ottenuto dei pignoramenti milionari nei conti di alcuni organi di vigilanza, in altre situazioni le sentenze ci sono state favorevoli.
Nel crack della Girardi Sim in sede penale abbiamo avuto delle prescrizioni (che non cancellano il reato), ma abbiamo vinto in sede civile in primo grado alla seconda sezione civile del tribunale di Roma, giudice Cricenti». Nessuna garanzia, dunque, né di vittoria, né di rapidità. Ma una volta compreso questo e demandato il compito di tutela dei propri interessi a un legale che conosca bene la materia, perché non provarci? Che cos'altro si ha da perdere se non tanto tempo?
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