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Questo articolo è stato pubblicato il 26 marzo 2011 alle ore 19:57.

In realtà è proprio questo l'elemento di forza del libro di Maass: non ti lascia altra scelta se non quella di preoccuparti. Si può dissentire sulle conclusioni, sulle analisi. Ma i fatti che descrive sono difficilmente contestabili e la geopolitica attuale lo conferma all'estremo. Il che dovrebbe indurre a riflessioni sui nuovi equilibri strategici.

È quanto ha fatto, ad esempio, l'economista Edward L. Morse (prossimo Managing Director e responsabile ricerche sulle commodities di Citigroup). Secondo Morse "la probabilità di un'apocalisse petrolifera non è più implausibile". In tale scenario i disordini interni possono condurre a guerre civili che a loro volta possono condurre a una cessazione o una riduzione della produzione. "Con i disordini che si diffondono in Medio Oriente e Nord Africa, il 2011 può rivelarsi un anno fatidico per la geopolitica globale del petrolio come lo fu il 1971". La guerra in Libia può avere conseguenze ancor più gravi sul costo del greggio: quello libico, infatti, è di alta qualità (solo il 25% della produzione globale ha le stesse caratteristiche), il più adatto a essere trasformato in carburante. Le dimostrazioni in Bahrain, invece, possono creare instabilità nella regione ponte verso la provincia orientale dell'Arabia Saudita, là dove sono concentrate le maggiori riserve petrolifere di quel paese. Lo spettro delle rivolte nei paesi del Golfo, inoltre, mette a rischio la sicurezza dello Stretto di Hormuz, dove transita il 75% del petrolio consumato in Asia. Tutta da dimostrare, infine, la capacità dell'Arabia Saudita di rimpiazzare le perdite libiche producendo 12.5 milioni di barili il giorno.

Ancor più catastrofico Michael T. Klare, professore di studi sulla pace e sulla sicurezza mondiale e autore del saggio "Blood and Oil". In un articolo sul sito di controinformazione TomDispatch.com, parla di "collasso del vecchio ordine petrolifero", di "fine dell'era del petrolio", considera tutto ciò che sta accadendo come i primi sussulti di un "oilquake", un petromoto che scuoterà il pianeta sino al nocciolo. Secondo Klare, quindi, bisogna elaborare una nuova geopolitica dell'energia. Il che significa che America, Cina e Russia convertano le energie e gli immensi capitali spesi in armamenti (da 100 a 150 miliardi di dollari annui per gli Usa) per il controllo delle risorse nello sviluppo di fonti energetiche alternative e più efficienti sistemi di trasporto.

Intanto la maledizione delle risorse continua a colpire. Proprio in questi giorni la PetroChina Company, controllata della China National Petroleum Company, gigante petrolifero di stato, ha siglato un accordo con la Saudi Aramco, la compagnia di Stato saudita (nonché la più ricca del mondo, con un capitale stimato tra 2.2 e 7 trilioni di dollari) per rifornire di petrolio la provincia meridionale dello Yunnan. Il greggio arriverà con un oleodotto attraverso la Birmania, evitando la lunga rotta via mare attraverso il congestionato Stretto di Malacca. Denuncia l'organizzazione Democratic Voice of Burma: "Nonostante la dimensione delle economie coinvolte, si stima che circa 15.000 persone perderanno la loro terra e i mezzi di sussistenza. Spesso senza compenso". A volte pagando questo privilegio col lavoro forzato.

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