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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2011 alle ore 09:56.

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Massimo Ponzellini, l'allievo di Prodi al tavolo di Bossi (Imagoeconomica)Massimo Ponzellini, l'allievo di Prodi al tavolo di Bossi (Imagoeconomica)

Quando era giovanissimo dirigente della grande Bnl, alla fine degli anni settanta, girava in Ferrari. Chi assistette alla vicenda racconta che una notte - girovagando per la Toscana - il neanche trentenne Massimo Ponzellini entrò sgommando in Piazza del Campo che allora era ancora aperta alle auto. Ma sbandò contro un colonnino di travertino e l'auto si piantò là. E lui era atteso di lì a poco nientemeno che da Nerio Nesi, da poco presidente della più grande banca del paese. Lasciò lì il bolide e alle prime luci dell'alba fece cambio con una macchina meno potente che un funzionario della filiale Bnl di Siena gli procurò in poco tempo e che guidò all'impazzata fino a Roma. E la Ferrari? «Quella l'ho recuperata, il giorno dopo».

Un episodio che dice molto del carattere dell'uomo, da sempre abituato ad andare al massimo dei giri, tra politica e business - i maligni parlano soprattutto di donne e motori, ma lui è sposato e ci ride sopra - ma lontano anni luce dai clichè del tipico sottobosco governativo. É ricco, lo è da sempre, e il denaro non pare sia mai stato uno dei suoi assilli. Gli interessa il gioco. Sa come muoversi, abile nelle relazioni ma anche un po' incurante di dire come la pensa.

Un carattere esuberante che ha fatto breccia anche in Vaticano, dove è più usuale trovare personalità laiche meno spumeggianti. Ma tant'è. E così un paio d'anni fa è stato chiamato a far parte di un ristretto comitato per risanare le traballanti finanze pontificie: insieme a Pellegrino Capaldo, Carlo Fratta Pasini e Ettore Gotti Tedeschi - tra l'altro prorio domani entrerà in vigore la riforma delle finanze vaticane voluta dal cardinale Tarcisio Bertone con le nuove norme antiriciclaggio - orienta le scelte strategiche del Governatorato, che nel 2008 aveva chiuso con un rosso di 15 milioni a causa del crollo dei mercati. Dopo un'accurata azione di riorientamento degli investimenti - d'intesa con l'abile l'arcivescovo Carlo Maria Viganò - il deficit si è dimezzato.

Amico di famiglia di Beniamo Andreatta (legato al padre, Giulio, uno dei fondatori del Mulino) per anni intimo di Romano Prodi che aveva seguito prima a Nomisma e poi a Roma, all'Iri. È lì che si consolida un sodalizio che, dopo esperienze alla Bers e alla Bei, arriverà fino a pochi anni fa, quanto Ponzellini stringerà un rapporto forte con Giulio Tremonti, che lo introdurrà alla grande nel circuito leghista, su su fino a Umberto Bossi. Incarichi al Tesoro precedono l'arrivo al vertice prima di Impregilo e poi, due anni fa, alla Popolare di Milano, sponsorizzato dal potente sindacato, quando battè Roberto Mazzotta.

Una nomina che la Lega - che lo avrebbe visto bene anche all'Eni - rivendicò come propria. L'intesa con l'asse Tremonti-Bossi (e anche l'amicizia dichiarata con il Cavaliere) lo ha allontanato da Prodi, che una volta in treno da Bologna a Roma - era il 2005, mancavano pochi mesi alle elezioni che il professore vincerà - gli chiese con chi stava. Tanto che il portavoce Silvio Sircana, era il novembre di quello stesso anno, in una nota rettificò una frase in cui Ponzellini veniva definito «vicino a Prodi»: questa vicinanza - fu puntualizzato - è solo delle abitazioni a Bologna. Ma il tempo passa e forse le cose cambiano («ogni tanto ci sentiamo» ha detto) anche se la memoria di Prodi è leggendaria.

Ma di certo c'è che la prossimità alla Lega si fa sempre più stringente: l'ha visto l'Italia intera nei tg della sera il 4 gennaio scorso, alla tradizionale 'Cena degli Ossi' all'albergo Ferrovia di Calalzo di Cadore: a tavola con Bossi, Tremonti e Roberto Calderoli c'era anche lui, unico in giacca e cravatta e con i suoi inconfondibili occhiali un po retrò, alla Onassis. Di Berlusconi ha detto, nel bel mezzo del caso-Ruby: «Secondo me non è stanco, ma è deluso dal fatto che il suo impegno nel cercare di risolvere i problemi del paese è vanificato a volte dai mercati internazionali, a volte da gente la cui nomina si è rivelata sbagliata. Di lui posso dire che è un italiano, con tutti i difetti, ma anche con tutti i pregi».

Si, ma le cene con le ragazze? «Beh, le ragazze sono sempre benvenute, il problema è trattarle bene». Senza ironia, sottinteso. Alle Invasioni Barbariche ha rivelato quanto percepisce di compensi, caso unico nella storia di un banchiere in Italia ospite di una trasmissione: «Guadagno 660mila euro lordi dalla Popolare e un milione da Impregilo. E basta». E come li investe? «Intanto sono ottocentomila euro netti. Eppoi ho una famiglia che, come dire, è sempre stata abituata bene».

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