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Questo articolo è stato pubblicato il 12 aprile 2011 alle ore 07:55.

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MILANO - «Il problema di Generali non è solo di governance. È l'ossessione del controllo che ha frenato la crescita della compagnia rispetto ai competitor». Claudio Costamagna, 55 anni appena compiuti, ex Goldman Sachs, oggi consulente nell'm&a, imprenditore nel settore finanziario e consigliere di amministrazione in gruppi italiani e internazionali, legge gli ultimi giorni della finanza italiana, con la traumatica uscita di Cesare Geronzi dal vertice di Generali, come una rivoluzione incompiuta, un cambiamento più apparente che sostanziale. E che rischia di non incidere in maniera determinante sul futuro della compagnia triestina.

Le dimissioni di Geronzi dalla presidenza di Generali non possono essere considerate un semplice avvicendamento al vertice di una società quotata: rischiano di provocare a cascata un cambiamento radicale in tutto il sistema che ruota intorno a Mediobanca. È così secondo lei?
Con tutta la stima che ho per Geronzi, prima o poi il momento di uscire di scena arriva per tutti, magari non sempre in modo così traumatico. Ma non sarà il detonatore al cambiamento che dovrebbe essere culturale prima ancora che societario. Finora si è privilegiato il controllo allo sviluppo, pur di mantenere saldo il controllo si è messa in secondo piano la crescita. Ci sono stati tanti casi di società che avrebbero potuto crescere, andare in Borsa e diventare grandi e che non sono riuscite a farlo per non far perdere il controllo a una famiglia o a un gruppo di azionisti di riferimento. Ogni volta, invece, che si è superata l'ossessione del controllo si è ottenuto lo sviluppo. Da questo punto di vista a Trieste non vedo nessun cambiamento.

L'azionista di riferimento è Mediobanca, è solo responsabilità di Piazzetta Cuccia?
No, la responsabilità è di tutti gli azionisti. Certo, un azionista che ha così tanto immobilizzato in una partecipata (Generali rappresenta circa il 50% della capitalizzazione di Mediobanca e un terzo degli utili, ndr) dovrebbe pretendere un po' più di dinamismo nella gestione.

È per questo che Generali ha sofferto in Borsa più delle altre compagnie europee?
Esiste un problema di underperformance operativa da anni in confronto ai principali concorrenti, è un dato di fatto che riflette qualcosa che non va.

Perché la Borsa ha punito Generali?
Nell'ultimo anno il mercato ha percepito il dissidio ai vertici e questo non fa mai bene. E poi Geronzi è sempre stato percepito, soprattutto dagli investitori internazionali, come un uomo più vicino alla politica che al mercato.

Ma c'è stato un problema di governance?
I presidenti dovrebbero essere garanti di tutti gli stakeholder e di tutti gli azionisti, e gli amministratori delegati dovrebbero vedere nel proprio presidente, chiunque esso sia, il loro capo. E il compito del presidente dovrebbe essere quello di controllare il management. In Italia questa figura di presidente capo-azienda, nel senso di rappresentante di tutti gli stakeholder, non è diffusa.

Galateri è la persona giusta per Generali?
Galateri è un'ottima persona, di grande esperienza. Ma la sua nomina non è un segnale di cambiamento, va nella direzione della continuità: è un presidente che rappresenta solo alcuni azionisti.

Mediobanca si appresta a rivedere il proprio patto di sindacato, rendendolo più leggero e «di mercato». Pensa che possa essere una vera novità?
Sono contrario in principio ai patti di sindacato per le società quotate perchè sono fatti per rafforzare il controllo a scapito dello sviluppo: nel momento in cui una società è quotata le azioni devono essere libere per definizione. Quindi qualunque cosa succeda nel patto di sindacato di Mediobanca, avrà un'influenza relativa.

Spesso in passato la difesa dell'italianità è stata invocata proprio per Generali. Oggi è diventato un tema anche per altri settori. Cosa ne pensa?
Questo è un Governo che, almeno a giudicare dall'etichetta, dovrebbe essere liberale e moderato. Tutto questo interventismo in economia mi sembra un po' eccessivo. Prendiamo il caso Parmalat: si sapeva da tre anni che era una società scalabile e che chiunque avrebbe potuto rastrellare azioni sul mercato. È un po' tardi difenderla ora. La difesa dell'italianità non serve. Tra l'altro, in un momento in cui avremmo bisogno di molta più Europa andiamo contro i francesi: i capitali vanno dove ci sono le occasioni migliori ed è giusto che sia così.

Lei in passato è stato candidato per il vertice di varie aziende e nei giorni scorsi è stato indicato come uno dei possibili candidati alla presidenza di Generali. Se l'avessero chiamata ci sarebbe andato?
Avrei fatto volentieri il presidente, ma con le caratteristiche di governance di cui abbiamo accennato prima e quindi non ci sono vere opportunità in questo momento in Italia. Ho lasciato Goldman Sachs a 50 anni e ho fatto dell'indipendenza la mia bandiera ma in Italia bisogna appartenere a clan, famiglie o potentati, altrimenti non si va da nessuna parte. E poi sono ancora troppo giovane per fare il presidente in Italia.

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