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Questo articolo è stato pubblicato il 29 aprile 2011 alle ore 07:37.

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La sede di Deutsche BankLa sede di Deutsche Bank

A Francoforte ne vanno orgogliosi. Quel premio asssegnato a Deutsche Bank come miglior "House of Derivatives of the year" è un vanto e non giunge inaspettato. Sono anni che la prima banca tedesca incassa il riconoscimento. Del resto è il suo mestiere: produrre, confezionare e vendere, in giro per il mondo, strumenti di finanza strutturata è nel suo Dna ed è tra l'altro fonte di lauti guadagni.

E per una banca d'investimento i profitti sono tutto. Così ecco che l'allarme sulla rinascita della finanza speculativa travalica i confini di Wall Street per giungere dall'altra parte dell'Atlantico. In una finanza globalizzata è inevitabile. E la Goldman o la Citigroup di turno diventano in Europa la Deutsche Bank o la Ubs o, perché no, Royal Bank of Scotland o Barclays e, in terra transalpina, Crédit Agricole o Société Générale.

Il fenomeno della finanza speculativa, dove con un derivato amplifichi d'incanto volumi e valori, perdendo piano piano il nesso con il valore reale degli asset, è vivo e vegeto anche nel vecchio Continente. Basta guardare il peso dei prodotti derivati nei bilanci della grande finanza europea, come ha documentato di recente R&S Mediobanca.

Protagonista di spicco è, guarda caso, la banca guidata da Josef Ackermann. Deutsche Bank vantava, a fine giugno 2010, ben 800 miliardi di derivati su un attivo di bilancio di 1.925 miliardi. Una montagna di denaro in prodotti strutturati che vale ben il 40% dell'intero bilancio del colosso tedesco. Non che l'anno prima, il 2009, e cioé un anno dopo lo scoppio della mina Lehman, le cose andassero tanto diversamente. I derivati assommavano all'epoca a meno di 600 miliardi. Meno certo, ma su un attivo della banca più basso a quota 1.500 miliardi. Quindi con un peso relativo analogo intorno al 40%. A fine del 2010, il peso, secondo le rilevazioni di R&S Mediobanca, è sceso. Di parecchio, ma sempre (vedi tabella) con un valore pari a oltre un terzo delle attività.

Ma se Deutsche è primattore in Europa, anche le altre banche non scherzano. Nel campione dei grandi colossi selezionato da R&S Mediobanca il peso dei prodotti derivati vale in media il 20% del valore delle attività. Un quinto degli asset delle maxi-banche d'Europa poggia sugli strutturati. E quanto vale questa potenza di fuoco? La bellezza di 4mila miliardi di euro. La più grande crisi finanziaria del dopoguerra, innescata dall'uso spregiudicato della turbo-finanza, pare non aver insegnato nulla. Quel produrre, vendere e comprare prodotti ad alto grado di ingegneria finanziaria non si è placato. Anzi, è andato incrementandosi. Solo nel primo semestre dell'anno scorso il peso dei derivati nei conti delle banche europee è salito del 26% a quota 4mila miliardi dai 3.200 del 2009. Oltre a Deutsche Bank ha i portafogli gonfi di derivati Ubs che vanta 380 miliardi di strutturati su mille miliardi di attivo. Con percentuali vicine al 30% degli asset spiccano Royal Bank of Scotland e Barclays. Più sotto le francesi: Société Générale e Crédit Agricole viaggiano sulla media europea: un quinto del valore del bilancio è composto da prodotti strutturati.

Tanto per fare un confronto, ecco la finanza dove – come efficacemente ha tratteggiato Tremonti – non si parla inglese e per questo si è evitato il peggio. I due big italiani, UniCredit e Intesa Sanpaolo, mantengono fede alla loro natura di banche tradizionali. Credito alle imprese e alle famiglie e poco trading di finanza speculativa. Il peso dei derivati sul bilancio si aggira intorno a un decimo delle attività. Che dire? Tanti derivati uguale tanto rischio? Non è detto. Finché il mercato gira e si fissano prezzi plausibili di questi prodotti, nessun problema. I derivati attivi e passivi si compensano e in molti casi fanno pure guadagnare. Il problema si pone se il mercato improvvisamente si dovesse bloccare: allora sì quei derivati perderebbero valore, si avviterebbero e si aprirebbe un buco nei conti delle banche.

Quanto grande? Lehman insegna
Può essere devastante. E qui entra in gioco il tema della leva. Ancora oggi in Europa, in media, l'attivo vale 30 volte il capitale netto delle banche. Per ogni euro della banca 30 sono a prestito. E se l'attivo (leggi anche derivati) dovesse svalutarsi anche solo di pochi punti percentuali, il capitale verrebbe eroso. E di molto.
Lehman insegna.

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