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Questo articolo è stato pubblicato il 11 maggio 2011 alle ore 07:50.

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Certo l'attuale crisi politica, la vicina incriminazione del tribunale Onu sull'omicidio dell'ex premier Rafik Hariri (ucciso a Beirut nel 2005), in cui sembra siano coinvolti siriani e membri di Hezbollah, pesano come un macigno sulla stabilità del Paese. Sembra escluso che si ripeterà il 2010, quando il numero dei turisti ha toccato 2,16 milioni di unità, un primato, con un aumento del 17% sul 2009 e un volume di affari di circa 8 miliardi.

Ma i settori principali tengono. A partire dal real estate. Beirut era e resta un cantiere a cielo aperto, dove le gru increspano l'orizzonte: «Nel 2010 sono stati rilasciati permessi edilizi per 17,6 milioni di metri quadrati - ci spiega Sebastiano Del Monte direttore dell'Ice di Beirut -: una crescita del 23% sul 2009. Permessi di validità per sei anni che stimoleranno il settore. In alcuni grandi progetti, come il "distretto S", il 60-70% dei lussuosi appartamenti è già stato venduto prima della costruzione.

È un'occasione importante per le imprese italiane, in tanti settori; da quello edilizio ai macchinari industriali». L'Italia è sempre stata un partner commerciale di primo piano. Nel 2010 il terzo Paese quanto a export verso il Libano, e il primo europeo. In marzo, con un incremento del 27% ha scavalcato la Cina arrivando dietro agli Usa. «L'Italia parteciperà alla Project Lebanon di Beirut, principale manifestazione regionale della filiera delle costruzioni (31 maggio-3 giugno 2011), con un Padiglione nazionale di 500 mq organizzato dall'Ice. È il più grande degli europei, con una presenza di 50 fra imprese e associazioni», conclude Del Monte.
«Il Libano - spiega Michele Cherenti, vicedirettore di Credit Libanais - possiede le seconde riserve di oro pro capite al mondo. L'aumento dei depositi ha poi consentito di finanziare il settore privato. Ma questa è un'area difficile, dove si incrociano gli interessi di molti Paesi». Tra cui la Siria, oggi investita da una sollevazione popolare affogata nel sangue.

Cosa ne sarà del piccolo Libano? Non c'è un legame diretto tra l'economia libanese e quella dei Paesi che hanno vissuto rivolte - si dice in ambienti della Banca centrale - ma c'è stato un ritardo degli investimenti e limitazioni agli spostamenti degli arabi nell'area, quindi un calo dei consumi. I fondamentali, però, sono ancora forti, il sistema bancario è liquido e non ci sono fughe di capitali. Quanto alla Siria, qui l'opinione più diffusa è che questa crisi non finirà con un brutale cambio di regime. Fino a che prevale questa opinione, l'impatto è limitato.

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