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Questo articolo è stato pubblicato il 01 giugno 2011 alle ore 07:59.

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ROMA - Sorpresa: le imprese sono tornate a chiedere, le banche sono tornate a dare. Da febbraio ad aprile – è emerso ieri dall'assemblea della Banca d'Italia – i finanziamenti alle imprese sono cresciuti su base annua del 5,2%, l'incremento più sostenuto tra tutti i principali Paesi dell'eurozona.

È l'accelerazione di un trend già affiorato lo scorso anno, quando il credito all'economia era aumentato del 2,8%, invertendo il dato negativo (-0,7%) dell'anno precedente. Ma, a fine 2010, per le imprese di medio-grandi dimensioni del Centro-Nord, il freno era ancora tirato, visto che l'incremento dei prestiti ricevuti nell'anno era limitato allo 0,1%, contro il +4,2% delle aziende di analoghe dimensioni operanti nel Sud-Italia.

La Relazione annuale della Banca d'Italia segnala che la ripresa dei prestiti si è concentrata nel segmento a medio e lungo termine, riflettendo «principalmente una ricomposizione dei prestiti alle imprese, anche in relazione a operazioni di ristrutturazione dei debiti». Ma, nelle sue Considerazioni finali, il Governatore Mario Draghi ha ammonito che gli interventi del sistema bancario «devono indirizzarsi a imprese effettivamente capaci di superare la crisi, non essere solo un modo per rinviare l'emersione di perdite ne bilanci bancari». Anche perché il contesto generale è ancora difficile e «l'incidenza dei prestiti iscritti nell'anno a sofferenza è rimasta elevata, all'1,9% del totale dei finanziamenti all'economia».

Anche se a ritmo inferiore rispetto al 2009, i crediti deteriorati sono cresciuti anche lo scorso anno del 16,6% attestandosi al 57,9% del patrimonio di vigilanza contro il 52,5% dell'anno precedente, con un tasso di copertura che nel complesso è rimasto stabile (dal 40,2% è passato al 40,5%), ma che per quanto riguarda in particolare le sofferenze è calato al 58% (dal 60,4% del 2009), un livello inferiore a quello pre-crisi. E inoltre, avverte la Relazione, «una quota non trascurabile dei crediti in bonis fa capo a imprese in condizioni finanziarie fragili».

Per questo è importante che le banche rafforzino il loro patrimonio. Secondo il Governatore, l'effetto sarà positivo sull'intera economia, in quanto aumenterà la resistenza del sistema verso shock avversi, ridurrà la probabilità di crisi, abbasserà il premio per il rischio sulla raccolta degli intermediari e il costo del capitale azionario. Draghi ha riconosciuto che «la risposta degli azionisti, delle Fondazioni e degli investitori è stata pronta»: dall'autunno a fine aprile sono stati varati aumenti di capitale per oltre 11 miliardi.

Le operazioni in cantiere serviranno ad avvicinarsi agli obiettivi fissati da Basilea 3 per il 2019 e a colmare il divario "estetico" con le altre banche europee che, a differenza delle italiane, hanno fatto abbondantemente ricorso agli aiuti pubblici. A fine 2010 il core tier 1 medio di sistema si attestava all'8,3%, mentre per le cinque maggiori banche al 7,4%. Relativamente al solo tier 1, le cinque big tricolori erano al 9% (poco sotto il 9,3% del sistema), contro il 12,1% di un campione di 12 grandi banche europee. Le banche avrebbero potuto anche accrescere il patrimonio per "via interna", ma la redditività del sistema resta bassa per garantire risultati apprezzabili: 4% il rendimento del capitale e delle riserve dei cinque maggiori gruppi italiani contro il 7,8% registrato dalle 12 banche europee prese a riferimento. Per contro, il profilo di rischio è inferiore, dal momento che la leva finanziaria (rapporto tra il totale dell'attivo e il patrimonio di base) per le cinque italiane è di 22 volte, per le big estere di 29.

E l'operatività più tradizionale, con i prestiti che per le prime rappresentavano il 60% del totale delle attività, per le seconde il 41%.
Draghi non disconosce quest'aspetto ma, se da una parte assicura che la Banca d'Italia opera nelle sedi internazionali, affinchè la normativa tenga nel «debito conto le specificità delle banche italiane», dall'altro si preoccupa che superino senza problemi lo «scrutinio internazionale», seguendo diligentemente l'evoluzione della normativa stessa «specie nella definizione delle poste di capitale».

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