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Questo articolo è stato pubblicato il 28 giugno 2011 alle ore 06:43.

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Enrico BondiEnrico Bondi

di Simone Filippetti
Battaglia in assemblea tra Lactalis e i fondi esteri per Parmalat. Scatta oggi il D-Day per il big italiano del latte, finito sotto scalata della potente e schiva famiglia Besnier: la nomina del cda dirà se per l'«invasore» francese la strada sarà tutta in discesa o se le barricate dei soci di minoranza – hedge fund, banche d'affari e raider americani – ostacoleranno l'avanzata del colosso lattiero d'Oltralpe, ottenendo un consistente numero di posti in consiglio o magari costringendo i francesi a rialzare il prezzo dell'Opa (2,6 euro).

Sulla carta, non c'è storia perché all'appuntamento di oggi ci sarà meno del 50% del capitale (probabile una quota del 45% circa) e le minoranze potranno contare, secondo le indiscrezioni raccolte, su una quota tra il 14 e il 18 per cento. Messa nel cassetto, da tempo ormai, l'ipotesi di una controfferta, ora lo scontro si sta spostando sul prezzo dell'offerta lanciata da Lactalis (che terminerà l'8 luglio). L'assemblea di oggi non deciderà molto: non è prevista l'assegnazione delle deleghe, quindi non si conosceranno i nomi del nuovo presidente e ad (i nomi più papabili sono quelli di Franco Tatò e quello di Antonio Sala). L'appuntamento servirà soprattutto a testare il polso e la vera forza dei protagonisti.

L'atteso appuntamento, rinviato di due mesi tra mille polemiche (con tanto di ricorso ai tribunali) anche per dare il tempo necessario a mettere in piedi la tentata Cordata Tricolore, sarà il campo di scontro finale: oggi calerà il sipario su una battaglia iniziata lo scorso marzo quando la famiglia Besnier prese i primi contatti, che l'hanno poi portata a diventare, a sorpresa, il primo azionista di Parmalat e, ancor più a sorpresa, a lanciare un'Opa.

Dopo il naufragio della controffensiva italiana, dopo il ritiro della lista per il cda di Intesa Sanpaolo (azionista di Collecchio e regista della cordata italiana), nessuno si attende oggi un ribaltone. Lactalis dovrebbe imporre senza troppi problemi il suo cda. Ma non sono escluse sorprese: per una public company quel 29,9% in mano a Lactalis è un macigno. Ma c'è pur sempre un 70% di flottante che può in teoria cambiare qualsiasi maggioranza. Secondo quanto si apprende da fonti di mercato, in assemblea ci sarà tra il 14% e il 18% dei fondi stranieri. Una percentuale che, vista anche la normale dispersione del voto tra le minoranze, dovrebbe garantire ai francesi di fare en plein: 9 consiglieri su undici disponibili.

Nei giorni scorsi vari rappresentanti dei fondi, come lo studio Trevisan, consulente specializzato nella raccolta deleghe e nelle battaglie assembleari, hanno invitato tutti gli investitori stranieri a convogliare il loro voto sulla lista Assogestioni. Se così sarà, la lista di minoranza potrebbe addirittura guadagnare un consigliere in più rispetto alle attese ed eleggere tutti e tre i suoi rappresentanti (l'ex manager di Rcs e attuale ad di Lavazza Gaetano Mele, Nigel Cooper e l'ex ad di Tim Brasile e Wind Paolo Dal Pino).

I numerosi hedge fund (come Boussard&Gavaudan) o il raider americano Paul Singer, ma anche banche d'affari (come Deustche Bank) che hanno preso posizione nei giorni scorsi, lo hanno fatto speculando un possibile rialzo del prezzo sul valore di 2,8 euro (lo stesso riconosciuto da Lactalis ai tre fondi McKenzie, Skagen e Zenit). Le adesioni (al 2% ieri) finora battono la fiacca (il ritmo è molto più basso rispetto ad altre Opa): se domani Lactalis liquiderà l'assemblea senza problemi, vorrà dire che allora i giochi sono davvero fatti e qualsiasi speranza di un rilancio si attenenuerà. Così come qualsiasi appeal speculativo.

Se invece le minoranze dimostreranno di avere la forza di contrastare Lactalis, allora per evitare un flop dell'Opa (che pure ha obiettivi di raccolta minimi, al 55%) l'ipotesi di un ritocco del pezzo potrebbe concretizzarsi. Uno scenario che molti ieri sera davano possibile, ma remoto. A Palazzo Soragna, in pieno centro di Parma, ci sarà anche il saluto di Enrico Bondi (si veda altro articolo in pagina): dice addio a Collecchio il risanatore di ferro da quasi dieci anni al timone del gruppo alimentare. Chiamato al capezzale subito dopo il crack, Bondi ha salvato la Parmalat dal più grande dissesto aziendale (14 miliardi di euro). Ma non ha impedito la calata dei francesi.

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