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Questo articolo è stato pubblicato il 04 luglio 2011 alle ore 07:43.

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Un'immagine della recente conferenza Fao a Roma (Ansa)Un'immagine della recente conferenza Fao a Roma (Ansa)

La nomina quasi contemporanea nei giorni scorsi della francese Christine Lagarde alla direzione del Fondo monetario e del brasiliano José Graziano al vertice della Fao, l'organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di sicurezza alimentare, ha offerto un chiaro esempio di come si intensificherà nel prossimo futuro la lotta per la guida delle grandi istituzioni internazionali fra le potenze economiche tradizionali e i nuovi Paesi emergenti.

La successione di Dominique Strauss-Kahn alla testa dell'Fmi è quella che ha attirato le maggiori attenzioni, anche perché la contesa è apparsa subito uno scontro fra Europa e nazioni emergenti. Alla fine, Lagarde l'ha spuntata, come era atteso, dato che la sola Unione europea conta su oltre il 30% dei diritti di voto all'Fmi. Ma ce l'ha fatta non solo, come era avvenuto in passato, per il fatto di essere europea, in ossequio al patto non scritto in base al quale, fin dalla fondazione delle istituzioni finanziarie internazionali a Bretton Woods nel 1944, la direzione del Fondo va al Vecchio continente e la presidenza della Banca mondiale a un americano.

Dopo che inizialmente i Bric (Brasile, Russia, India e Cina) si erano schierati con un comunicato a favore di un procedimento «aperto, trasparente e basato sul merito», facendo balenare la possibilità di coalizzarsi per un candidato unico, poi, ancor prima della decisione si sono, a uno a uno, allineati dietro la Lagarde. Facendo pensare che abbiano ottenuto contropartite che vanno al di là della prosecuzione delle riforme avviate da Strauss-Kahn per spostare parte del peso della governance a favore degli emergenti, per riflettere la loro crescente influenza nell'economia mondiale. Si dice, per esempio, che la Cina abbia spuntato un ruolo al vertice dell'Fmi, magari con il grado di "vice", per il suo Zhu Min, oggi consigliere speciale della direzione. Da notare che fra gli altri vicedirettori c'è già oggi un'altra emergente (anche se molto "occidentalizzata"), l'egiziana Nemat Shafik.

L'altra novità è che con il rivale della Lagarde, il messicano Agustin Carstens, che non è riuscito a farsi portacolori degli emergenti, si sono schierati invece Paesi industrializzati come Canada (addirittura un membro del G-7) e Australia. Ora tutti dicono che la prossima contesa dovrà essere ripensata e che in futuro non si potrà puntare di nuovo su un europeo. Ma sono le stesse considerazioni che furono avanzate quando fu nominato Dsk. E si tratta di vedere se si applicheranno alla Banca mondiale, da sempre appannaggio degli Usa, quando scadrà Bob Zoellick, e al posto di numero 2 dell'Fmi, anch'esso assegnato agli Usa.

In parallelo alla lotta per l'Fmi si è svolta la corsa per la Fao, che forse è ancora più rivelatrice: anche se in fondo Graziano sostituisce un altro rappresentante di quello che una volta si chiamava il Terzo mondo, il senegalese Jacques Diouf, in carica da 17 anni, ha battuto il candidato europeo, lo spagnolo Miguel Angel Moratinos, con un'affermazione della diplomazia brasiliana, ma soprattutto con un'assunzione di responsabilità da parte di uno dei grandi emergenti. Dopo le accuse di inefficienza alla gestione Diouf, l'esito del mandato di Graziano sarà quindi un test importante delle capacità di amministrazione da parte di un emergente di un'istituzione che sta acquistando rilevanza con l'aggravarsi del problema alimentare. Graziano ha nel suo curriculum la paternità del programma "Fame zero", ma anche l'allontanamento nel giro di pochi mesi dall'incarico ministeriale per metterlo in atto, causa carenze gestionali.

La terza gamba delle istituzioni di Bretton Woods, insieme a Fmi e World Bank, è saldamente in mano ai Paesi avanzati (oggi il francese Pascal Lamy), salvo una breve parentesi di un direttore generale thailandese, mentre il "club dei Paesi industrializzati", l'Ocse, curiosamente è guidato dal messicano Angel Gurria, quindi dall'esponente di un'economia che per molti versi dev'essere ancora considerata fra gli emergenti.
Un caso interessante di come gli equilibri di potere possano funzionare a vantaggio di tutti sono probabilmente le banche multilaterali di sviluppo.

La Banca asiatica è da sempre affidata a un giapponese (attualmente Haruhiro Kuroda) e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers), che sta per ampliare il suo mandato dai Paesi dell'Europa centrale e orientale al Medio Oriente e al Nordafrica per sostenere la "primavera araba", è sempre guidata da un europeo (oggi il tedesco Thomas Mirow). Ma la Banca interamericana di sviluppo ha sempre un presidente latinoamericano (in carica è il colombiano Luis Alberto Moreno), il che contribuisce a un senso di appartenenza che finora gli emergenti non hanno avvertito nel caso delle altre istituzioni finanziarie internazionali.
L'atteso rimpasto dei voti e dei vertici, sotto la Lagarde, al Fondo monetario dovrebbe contribuire a bilanciare meglio i rapporti di forza e dare legittimità all'istituzione. Anche per evitare che gli emergenti, che oggi producono la maggior quota della crescita dell'economia mondiale, trovino altre strade per esercitare la propria influenza.

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