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Questo articolo è stato pubblicato il 13 luglio 2011 alle ore 08:06.

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di Isabella Bufacchi
Dopo il declassamento del rating di Moody's sul Portogallo a livello speculativo, l'indice Pmi dei servizi in Italia crollato a 47,4 punti e l'annuncio di manovre concentrate nel biennio 2013-2014 per riportare i conti pubblici italiani al pareggio di bilancio, in gergo 'triggers', il contagio si è esteso velocemente ai titoli di Stato italiani che per oltre un anno e mezzo erano rimasti lievemente lesi dai colpi sferrati dalla crisi greca.

La velocità con la quale i prezzi dei BTp sono calati, non solo sulla scadenza decennale ma su quella a due e cinque anni, e l'entità del crollo nell'arco di tre giorni hanno colto di sorpresa la comunità degli investitori istituzionali internazionali che fino a qualche giorno prima aveva premiato i punti di forza di un'Italia con un deficit-Pil migliore di molti stati europei, con vecchie e arcinote carenze strutturali ma nessun nuovo problema collegato a bolle speculative immobiliari e sistemi bancari barcollanti.
Con altrettanta velocità ieri, quello stesso mercato si è mostrato disponibile a tornare sui suoi passi: non sono state smantellate in fretta solo posizioni 'corte' o speculative. L'asta dei BoT ha raccolto ordini per oltre 10 miliardi, riportando alla luce una domanda solida per i titoli italiani (sia pur a breve termine) che sul secondario dei BTp era invece sparita, dove tra lo scorso venerdì e lunedì fino a ieri mattina si erano intercettati solo prezzi di vendita e nessun acquisto. Il fatto poi che il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, per i mercati il più affidabile garante della tenuta dei conti pubblici, sia rientrato alla svelta da Bruxelles per assicurare l'accelerazione dell'approvazione in Parlamento delle misure 2011-2014 e magari per annunciare a sorpresa qualche altro intervento strutturale importante, ha rincuorato gli investitori. Non deludendo chi scommette su quell'Italia che, quando le cose si mettono veramente male, da il meglio di sé.

Il repentino cambiamento di rotta in positivo ieri sull'Italia e sugli stati europei periferici come la Spagna (prima dell'ennesimo declassamento di Moody's che ieri sera ha portato per prima nella categoria dei junk bond l'Irlanda, ancora 'BBB+' a livello d'investimento per S&P's e Fitch) è comunque attribuibile in buona misura anche a voci internazionali non confermate, a rumours non sostenuti né da fatti né da testimonianze. Sul mercato è corsa voce che la Bce fosse tornata ad acquistare titoli di Stato europei sul mercato secondario. Come di regola, Francoforte non ha confermato. E sugli schermi dei desk dei traders, in realtà questo intervento non ha lasciato traccia. La Bce ha acquistato finora titoli di stato per circa 76 miliardi, che il mercato ha calcolato di provenienza greca, portoghese e irlandese, per ripristinare la stabilità dei prezzi sul secondario: questo ruolo fino a ieri non si era esteso ai Bonos spagnoli o ai BTp. E forse la situazione è rimasta immutata. Da qualche settimana la Banca centrale europea si tiene alla larga dal secondario, anche per dare forza al suo braccio di ferro con Bruxelles e scongiurare il rischio di «default», «selected default» e «credit event» sulla Grecia che invece resta sul tavolo di lavoro dei politici europei. Eppure ieri è bastata la voce del suo ritorno sul secondario a raggelare gli speculatori e a tranquillizzare gli investitori istituzionali che acquistano per tenere i titoli in portafoglio fino a scadenza e che vendono malvolentieri per incassare perdite.

Questo è un segnale inequivocabile lanciato dal mercato, a indicare che è in questa direzione che deve andare l'Europa, verso il titolo di stato europeo, verso un bilancio federale e una politica fiscale unita. Il veicolo Efsf rafforzato o qualsiasi altro veicolo di sostegno alla stabilità dei mercati europei e dell'euro, che dovrebbe essere confermato nel prossimo fine settimana, dovrà essere messo in grado di emettere euro-bond e con la raccolta acquistare titoli di stato europei sul secondario (quel buy-back che può aiutare la Grecia a tagliare lo stock del debito pubblico senza default) e sul primario in asta per calmierare i rendimenti e allontanarli dalla soglia del 6% o della barriera dell'insostenibilità del 7 per cento. L'Italia non ha bisogno di alcun sostegno o intervento: basterebbe l'esistenza stessa di un nuovo super Efsf con una potenza di fuoco da 1.500 miliardi e poteri di intervento sul mercato secondario dei titoli di stato per alzare un vero muro di protezione sulla moneta unica e sul debito pubblico europeo.

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