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Questo articolo è stato pubblicato il 09 agosto 2011 alle ore 21:21.
L'ultima modifica è del 09 agosto 2011 alle ore 10:21.

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Il barile Wti è scivolato ai livelli minimi dal 29 settembre 2010 in chiusura di contrattazioni a New York: al Nymex i future del Light Crude hanno registrato un calo di 2,01 dollari a quota 79,30 dollari, soffrendo una ulteriore spinta al ribasso per le decisioni assunte nel meeting della Federal Reserve. I prezzi del greggio erano risalite in giornata dai minimi sulle piazze europee, dopo il tonfo subito nella notte in Asia ma le quotazioni (piombate anche fino a 75,71 dollari in barile, minimo dal 29 settembre 2010; per il Brent sotto i 100 dollari fino a 98,74 dollari, ai minimi dall'8 febbraio scorso) erano rimaste volatili, in attesa delle mosse della Federal Reserve.

Dove si fermerà la caduta dei prezzi? Con la rottura della barriera di 80 dollari per il Wti e di 100 dollari per il Brent e il deterioramento del clima economico è difficile prevedere un nuovo punto di equilibrio delle quotazioni. Il motivo alla base del tonfo delle quotazioni è sempre lo stesso: il timore che la domanda globale di petrolio possa subire una pesante contrazione dopo il rallentamento - ormai certificato da S&P - della principale economica mondiale, quella statunitense. Ad acuire la pressione hanno contribuito anche le gravi perdite accusate nel frattempo dai mercati azionari, lette dagli esperti come un ulteriore segnale negativo sulle prospettive delle imprese e quindi del ciclo globale.

I negativi dati europei e rischio inflazione in Cina
La Germania, infatti, oltre all'inatteso calo della produzione industriale a giugno (-1,1%) ha segnalato oggi che si è ridotto a sopresa anche il surplus commerciale (sceso a 12,7 miliardi da 14,8 miliardi a maggio). Analoga tendenza in Gran Bretagna che ha denunciato una stagnazione della produzione industriale (-0,3% anno a giugno) con una contrazione dell'1,6% nel secondo trimestre rispetto ai primi tre mesi del 2011 e un peggioramento del disavanzo commerciale. È vero che in Cina, invece, la produzione continua a crescere (+0,9% mensile e +14% annuo a luglio), sostenendo materie prime ed energia, ma ha destato molta preoccupazione l'accelerazione dell'inflazione che a luglio (+6,5% e +14,8% gli alimentari) è balzata ai massimi da tre anni. Uno scenario che potrebbe limitare i margini di manovra di Pechino.

L'Opec rivede al ribasso le stime della domanda
Il deterioramento del quadro economico mondiale ha spinto inoltre l'Opec (40% dell'offerta mondiale di petrolio) a rivedere al ribasso le stime di crescita della domanda di petrolio per l'anno in corso e quello successivo. La previsione per il 2011 è stata abbassata di 150mila barili al giorno a 1,21 milioni di barili al giorno, mentre quella per il 2012 cala di 20mila barili a 1,30 milioni di barili al giorno.. Il rapporto mensile dell'Opec ha evidenziato che a luglio la produzione del Cartello è salita di 400 mila barili a 30,07 milioni di barili/giorno, grazie ad un maggior apporto di Arabia Saudita e Angola che ha compensato il calo della produzione libica, contro il parere di molti falchi dell'Opec. La caduta del prezzi del greggio potrebbe creare dei malumori tra i ministri del Cartello, ma al momento non ci sono segnali di possibile vertici straordinari.

Primi dubbi tra i rialzisti
I recenti movimenti stanno comunque insinuando i primi dubbi tra i rialzisti di lungo termine. I graficisti di Barclays Capital, ad esempio, oggi hanno modificato la loro visione di medio termine da bullish a neutral, indicando un supporto di 80 dollari al barile. All'indomani del declassamento del debito americano, invece, hanno ribadito le loro stime del prezzo del Brent per il 2012 sia Goldman Sachs, che prevede un barile a 130 dollari; sia Bank of America Merrill Lynch che ha confermato i suoi 114 dollari al barile.

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