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Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2011 alle ore 15:09.

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Un mondo, in qualche modo, capovolto. Il secolo scorso si era chiuso con il recupero delle Borse, dopo lo «schiaffone» ricevuto dai Paesi emergenti. La crisi, partita nel 1997 dalle Tigri asiatiche, passata per il default di Mosca (con l'aiuto dell'americanissimo Ltcm), e arrivata in quel del Brasile, era stata arginata. Oggi, trascorsi più di 13 anni, il Pil mondiale è sostenuto proprio dagli «emerging» e i problemi di debito sovrano e crescita sono tutti in casa dei Paesi più industrializzati.

Quell'Occidente i cui listini hanno attraversato molti snodi: dall'attacco alle Twin Towers alla bolla dotcom; dallo tsunami subprime fino all'«onta» del downgrade di Washington. Un decennio di saliscendi che, alla fine, ha un consuntivo negativo. Tutto il contrario di ciò che è accaduto nei Paesi meno industrializzati.

L'Occidente in calo
Per rendersene conto basta confrontare le performance delle principali Borse mondiali. Wall Street, da inizio 2000 ad oggi, lascia sul parterre il 20,1% (il 43,9% in euro). Tokyo, dal canto suo, nel terzo millennio cede il 54,2% (58%). Male anche l'Europa: l'Eurostoxx 50 è in calo del 52,9 per cento. La stessa locomotiva tedesca segna il passo: il Dax 30 perde il 16,7 per cento. Meglio, comunque, della piazza milanese: qui la discesa è del 64,1 per cento.

La situazione si capovolge, completamente, volgendo lo sguardo ai listini dei Paesi emergenti. Il Micex di Mosca, dal 31/12/1999, fa segnare un balzo di oltre l'848 per cento. E che dire del Bovespa Brasiliano (+141% in euro) o del cinese Shangai Composite (+88,9% in valuta locale)? Non si scappa, il risultato è sempre quello: una performance positiva. Il mondo borsistico, insomma, è sotto-sopra.
Certo, può obiettarsi: riducendo l'arco di tempo considerato, il risultato cambia. La piazza di Francoforte, per esempio, dal 2005 ad oggi torna in positivo (+7,2%); analogamente al Nasdaq (+13% in dollari) e al Dow Jones (+4%). Nel solo 2011, poi, anche le lepri emergenti diventano tartarughe: a fronte di Wall Street che cede solo il 6,7%, la Borsa moscovita lascia sul parterre oltre il 14%, quella brasiliana il 23% e il listino coreano il 12,5 per cento.

Tuttavia, il risultato di fondo non cambia: «Se nel 2000 una persona avesse investito 100 unità di capitale sul listino russo - dice Maurizio Milano, responsabile ufficio studi analisi tecnica di Banca Sella -, oggi avrebbe in tasca un valore di 1.065 unità. Al contrario, con l'S&P, l'Eurostoxx 50 o il FtseMib sarebbe in perdita».
E qui, allora, salta fuori la domanda: quale benzina ha riempito il motore decennale delle Borse emergenti? «Questo macro-trend - risponde Antonio Cesarano, responsabile ufficio studi market strategy di Mps Cs - è stato sostenuto da un mix di fattori: in primis la forte crescita economica, peraltro rappresentata molto più dall'industria che dalla finanza».

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