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Questo articolo è stato pubblicato il 21 agosto 2011 alle ore 14:17.

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(AFP)(AFP)

di Maximilian Cellino
I timori per una nuova recessione che possa colpire l'economia su scala mondiale, la minaccia di una possibile crisi di liquidità che mini alla base l'integrità del sistema finanziario europeo, la cronica incapacità dei politici del Vecchio Continente nel prendere le decisioni necessarie per frenare la deriva dei debiti pubblici. È stata certo una concentrazione inusuale di eventi negativi quella che ha condizionato i mercati azionari spedendoli nuovamente al tappeto nella settimana appena conclusa.

E mentre gli investitori corrono a fare i calcoli per scoprire che i listini si stanno ormai avvicinando ai minimi del marzo 2009 e sperano di trovare nelle valutazioni dei titoli ormai ridotte all'osso (la sola Apple, per esempio, vale ormai il 75% dell'intero indice bancario europeo) motivi validi per giustificare un'inversione di tendenza, si intravedono segnali non certo rassicuranti anche sui mercati valutari. Se il cambio euro/dollaro continua infatti a oscillare entro limiti ristretti ormai da diversi mesi, l'avversione al rischio ha scatenato l'avanzata di franco svizzero e yen, scelti dagli investitori come una sorta di bene rifugio.

Entrambe le monete hanno raggiunto livelli ragguardevoli (massimi storici a metà agosto per il franco, dal secondo dopoguerra per lo yen sul dollaro giusto venerdì scorso) e rischiano di rappresentare un ulteriore fattore di destabilizzazione per gli equilibri globali, già sufficientemente provati di questi tempi. Basta pensare all'effetto drenante che il superyen può esercitare sull'economia giapponese, che è pur sempre la terza forza mondiale, oppure alle conseguenze potenzialmente devastanti del rincaro del franco sulla stabilità dei Paesi dell'Est Europa (Ungheria in primis) che sono fortemente indebitati nella valuta elvetica.

Le autorità di Berna sono già intervenute sul mercato nel tentativo di frenare l'esuberanza della propria valuta, con risultati per la verità alterni, e anche Tokyo potrebbe - stando alle indiscrezioni della stessa stampa giapponese – seguire l'esempio acquistando dollari e vendendo yen già a partire da questa notte. Mosse simili da parte della Banca del Giappone hanno però dimostrato di avere il fiato corto (l'ultima risale a inizio mese) se effettuate in maniera unilaterale e non concertata con gli altri istituti centrali (come invece era avvenuto a marzo, quando lo yen aveva raggiunto i massimi polverizzati due giorni fa).

Per questo motivo, e tenuto conto della delicatezza del momento, è presumibile che le questioni legate ai cambi saranno al centro dell'attenzione della conferenza che in settimana si terrà a Jackson Hole. Al simposio che si svolge tradizionalmente a fine agosto fra le foreste del Wyoming saranno presenti i principali banchieri del mondo, che avranno probabilmente il loro bel da fare nell'affrontare, in chiave valutaria, anche il tema spinoso della Cina. Non è un mistero, infatti, che la politica di rivalutazione a piccoli passi dello yuan sul dollaro (al quale la moneta di Pechino è legata) abbia effetti praticamente nulli sulle altre monete (euro, sterlina) e sia quindi inefficace.

Ma da Jackson Hole gli operatori attendono con una certa trepidazione soprattutto il discorso che Ben Bernanke pronuncerà venerdì. Con la speranza di assistere a una sorta di bis dello scorso anno, quando il presidente della Federal Reserve annunciò proprio a quella platea le misure straordinarie di politica monetaria note come «quantitative easing 2» che dettero il via al rally dei listini. Oggi le condizioni della ripresa Usa sono, se possibile, ancora più deboli, ma è anche più vivo il dissenso in seno alla Banca di Washington, come dimostrano le critiche nei confronti di nuove mosse espansive pronunciate questa settimana da due membri influenti del board quali Charles Plosser e Richard Fischer.

Prima del grande appuntamento di venerdì, in ogni caso, non mancheranno gli eventi in grado di testare i nervi tesi del mercato. Già domani, per esempio, si guarderà alla cifra di titoli di Stato (principalmente BTp italiani e Bonos spagnoli) che la Bce ha riacquistato nell'ultima settimana. E sempre da Francoforte arriveranno indicazioni importanti sulla salute del mercato interbancario: se all'asta di mercoledì l'inusuale richiesta di 500 milioni di dollari di questa settimana dovesse essere confermata, le pressioni sui titoli del settore finanziario sarebbero destinate a intensificarsi. Martedì gli occhi saranno puntati sul vertice franco-tedesco, che potrebbe decidere le sorti dell'Eurobond, e molta attenzione sarà destinata ai tanti dati rilevanti sulla congiuntura (gli indici di fiducia e sul clima degli affari in Germania e nel resto d'Europa martedì e mercoledì, il Pil degli Stati Uniti venerdì): chi tornerà dalle vacanze non rischierà certo di annoiarsi.

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