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Questo articolo è stato pubblicato il 27 settembre 2011 alle ore 09:12.

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La Banca Popolare di Milano ieri ha monopolizzato l'agenda del direttore generale di Banca d'Italia, Anna Maria Tarantola. Il presidente dell'istituto Massimo Ponzellini e il direttore generale Enzo Chiesa sono tornati ieri mattina in Via Nazionale per presentare la proposta di riforma della governance con l'adozione del duale.

Una proposta che non ha passato l'esame ieri mattina, tanto che i vertici di Bpm hanno dovuto dedicare la giornata ad apportare le opportune limature al testo perché potesse passare il vaglio di Banca d'Italia in serata, prima della presentazione oggi in consiglio di amministrazione.

Nel dettaglio, la nuova governance prevede un cds formato da 19 membri, di cui undici espressione della lista di maggioranza, sei delle minoranze e due rappresentanti degli investitori istituzionali. Sarà prerogativa del cds l'elezione del consiglio di gestione, composto a sua volta da un consigliere delegato (che coincide con il direttore delegato), un presidente e tre consiglieri. Fin qui tutto in linea con quanto previsto negli ultimi giorni. I consiglieri di maggioranza si aspettavano di veder accolte le loro richieste su un ammorbidimento dei criteri di accesso al board e su maggiori poteri strategici per il cds.

Così non è stato e l'ultimo tentativo per l'Associazione degli Amici di Bpm (che ieri in serata a riunito i vertici per un esame della proposta) sarà l'intervento oggi presso Banca d'Italia di Umberto Bocchino, ordinario di corporate finance all'Università di Torino e consulente delle sigle sindacali nello studio del nuovo sistema di governance, come anticipato da Radiocor. Difficile, però, che Bocchino riesca a strappare qualche concessione a Via Nazionale, che è stata chiara sul modello di governance da adottare.

I dieci consiglieri di maggioranza (su 18) comunque oggi nel loro voto non potranno certo ignorare i richiami che sono arrivati ieri dai sindacati nazionale. In un comunicato congiunto i segretari generali della Cgil, Susanna Camusso, della Fisac-Cgil, Agostino Megale, e della Camera del Lavoro di Milano, Onorio Rosati, hanno sottolineato «in modo netto e chiaro che non saranno condivise in alcun modo scelte gattopardesche che sembrano voler cambiare tutto per non cambiare nulla», stigmatizzando come non è accettabile anzi è dannoso «il gioco delle tre carte che il presidente della Bpm ha realizzato anche nella costruzione della riforma della governance e dello statuto». La rappresentanza della Fisac-Cgil della Bpm ha risposto al richiamo ribadendo «la ferma volontà di perseguire il percorso di rinnovamento iniziato un anno fa».

Nella stessa direzione si è mossa la segreteria della Uilca, che al termine del direttivo di ieri ha precisato: «la direzione da perseguire è quella indicata dalla Banca d'Italia, pertanto vanno respinti con decisione tentativi di uscire da tale linea e di creare confusione nei mercati, tra i lavoratori, nel management e nel sindacato». Resta da vedere se oggi i sindacati interni faranno loro la linea espressa a livello nazionale, in caso contrario il board potrebbe trovarsi in una situazione di stallo e il presidente Massimo Ponzellini, nell'impossibilità di portare la banca nella direzione indicata da Banca d'Italia, potrebbe decidere di lasciare l'istituto. Inoltre i consiglieri potrebbero essere oggetto di azioni di responsabilità da parte degli azionisti nel caso si delineasse l'ipotesi di danno per la società.

Ieri, poi, dopo Ponzellini e il direttore generale Enzo Chiesa, il vice direttore di Banca d'Italia Anna Maria Tarantola ha incontrato anche i rappresentanti delle minoranze di Bpm (soci non dipendenti e pensionati), che hanno illustrato la loro proposta di modifica della governance tradizionale, che la settimana scorsa è stata bocciata dal cda. Le minoranze hanno ribadito la necessità di un cambiamento radicale della governance per la separazione della gestione dalla proprietà. Nel caso fosse bocciato oggi il duale, per altro, le minoranze sono pronte a tornare alla carica con la loro proposta.

Se, invece, sarà superato lo scoglio della governance, Bpm potrà guardare avanti e lavorare alla ricapitalizzazione, il cui ammontare sarà annunciato oggi dal board. L'operazione, però, partirà solo dopo l'assemblea del 22 ottobre che approverà le modifiche alla governance e nominerà il cds, che a sua volta, nella stessa giornata, indicherà il cdg. Solo allora la banca sarà pronta per presentarsi al mercato con una struttura interna più solida, quindi sarà definito il prezzo e l'operazione avrà luogo prima della fine di ottobre, nei tempi richiesti da Banca d'Italia e prima della scadenza del consorzio di garanzia. Per allora, infine, si sarà sciolto anche il nodo dell'eventuale ingresso nel capitale di un cavaliere bianco. Da una parte c'è Matteo Arpe, numero uno di Sator, pronto ad investire 200 milioni di euro a fronte di un ruolo nella gestione dell'istituto. Dall'altra Andrea Bonomi, patron di InvestIndustrial, che allo stesso modo potrebbe partecipare alla ricapitalizzazione dell'istituto ma con un riconoscimento per sé o per qualcuno di sua fiducia negli organi di gestione della banca. Nell'uno e nell'altro caso resta il fatto che è condizione necessaria che ci sia una svolta all'interno della banca che consenta lo sviluppo di un piano industriale.

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