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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2011 alle ore 08:16.

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Tutti contro tutti. Sindacati nazionali contro sindacati interni, consiglieri di maggioranza contro consiglieri di minoranza, vertici della banca contro ingerenze della proprietà, investitori con mire di gestione contro investitori finanziari. La vicenda della Banca Popolare di Milano si sta complicando di giorno in giorno sotto lo sguardo attento e vigile della Banca d'Italia, che aspetta l'istituto al varco delle riforme chieste.

Non è certo il clima di lavoro ideale per il presidente Massimo Ponzellini e il direttore generale Enzo Chiesa, che devono mettere a punto una riforma della governance che possa non andare nella direzione indicata da Banca d'Italia, ma anche ottenere il via libera del consiglio di amministrazione, incontrare il favore del consorzio di garanzia per la ricapitalizzazione dell'istituto e soddisfare gli investitori che potrebbero entrare nel capitale in occasione dell'aumento di capitale. Il tutto, peraltro, partendo da una prima bozza che è riuscita a scontentare un po' tutti.

Le richieste dei sindacati
Il modello cui guardano i sindacati è quello della governance di Ubi Banca: un duale che pur separando proprietà e gestione aziendale riconosce al consiglio di sorveglianza (cds) «la deliberazione sulla definizione degli indirizzi generali programmatici e strategici della Banca e del Gruppo». Un dettaglio non da poco, che manca alla bozza di riforma della governance presentata da Ponzellini al board mercoledì. Proprio per questo i vertici dei dipendenti soci di Bpm hanno deciso di rivolgersi a Umberto Bocchino, ordinario di economia aziendale a Torino, per ottenere una consulenza sui cambiamenti da suggerire ai vertici.

Alcuni sindacati nazionali, poi, avrebbero domandato anche un parere informale a Marcello Messori, ex presidente di Assogestioni. L'obiettivo resta quello di continuare ad avere un'influenza sulle scelte strategiche della banca e soprattutto aver voce in capitolo sulle nomine. Non solo. I sindacati interni avrebbero obiettato anche sui requisiti richiesti per entrare nel cds: «Ciascun componente deve aver maturato un'esperienza complessiva di almeno un triennio attraverso l'esercizio, in Italia o all'estero, di attività di amministrazione, direzione o controllo in società operanti nel settore bancario, finanziario o assicurativo di adeguate dimensioni, ovvero in società» quotate, si legge nella bozza proposta dal presidente.

Criteri considerati troppo stringenti, che escluderebbero a priori consiglieri che ora siedono nel board. Positivo, quindi, il parere sulla scelta del duale, ma dipende molto da come il sistema verrà declinato per andare incontro alle specificità del modello "popolari". Una posizione che sembra richiamare la frase gattopardesca «se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Proprio quello che non gradirebbe Banca d'Italia, per cui è necessario che il cambiamento della governance sia sostanziale.

Tanto che nel corso dell'incontro avuto dai sindacati nazionali con il vice direttore generale di Via Nazionale, Anna Maria Tarantola, si è lasciato intendere che in mancanza di una reale riforma si potrebbe arrivare anche al commissariamento della banca. Se, però, i sindacati nazionali hanno compreso il rischio, non sembra si possa dire altrettanto per le rappresentanze interne tanto che ieri sia Fabi che Fiba hanno richiamato i sindacati interni alla banca ad una linea comune con le segreterie delle sigle sindacali. Questo non solo per quel che riguarda la governance, ma anche per il gradimento ad eventuali investitori. Ieri, arrivato l'imprimatur dei sindacati nazionali all'ingresso di Matteo Arpe come investitore e manager, indiscrezioni indicavano contatti fra l'Associazione amici della Bpm e una cordata di investitori capitanata da Andrea Bonomi (InvestIndustrial).

La mediazione
La difficile opera di mediazione tra le diverse istanze spetta ai vertici del gruppo. Giovedì scorso, il direttore generale ha riunito i primi 40 dirigenti della banca per spiegare loro quanto sta accadendo e il gruppo dirigenziale si è dimostrato coeso e pronto al cambiamento. Allo stesso tempo il manager sta lavorando con il presidente e l'aiuto di consulenti alla stesura della proposta di governance da presentare a Banca d'Italia, che oggi dovrebbe essere licenziata.

All'opera, oltre all'avvocato Paolo Bassilana dello Studio Legale Biscozzi Nobili storicamente vicino all'istituto, ci sarebbe anche il professor Mario Notari, esperto di diritto commerciale. Weekend di lavoro, dunque, per arrivare martedì 27 al voto in cda non solo sul modello di governance, ma anche sull'ammontare e il prezzo dell'aumento di capitale. D'altra parte i tempi sono stretti e per il 22 ottobre è prevista la convocazione dell'assemblea per l'approvazione del duale e la nomina del primo cds e a seguire del primo consiglio di gestione, che con ogni probabilità sarà composto da 5 membri, 4 dei quali dovrebbero essere non dipendenti, mentre il quinto sarà il consigliere delegato che al momento sembra coincidere con la figura del direttore generale.

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