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Questo articolo è stato pubblicato il 01 novembre 2011 alle ore 08:25.

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John Corzine, ad di Mf Global (Ansa)John Corzine, ad di Mf Global (Ansa)

È crack, dopo Lehman Brothers, per un altro colosso della finanza americana. Questa volta, però, non è stato scottato da scommesse su derivati immobiliari a stelle e strisce.

È stato travolto dalla crisi europea: MF Global è crollato – ieri mattina ha portato i libri in tribunale chiedendo l'amministrazione controllata – sotto i colpi di perdite provocate da un'esposizione a bond del Vecchio continente gonfiatasi fino a 6,3 miliardi di dollari – più di metà, il 51%, in titoli del debito italiani.
MF Global, broker dei derivati con ambizioni da investment bank, è subito diventata la principale vittima, in America e forse sul palcoscenico internazionale, della bufera sul debito sovrano. Nei documenti depositati ai giudici di Manhattan ha riportato asset per oltre 41 miliardi (accanto a passività per 39,68 miliardi), abbastanza per strappare il titolo di ottavo crack statunitense di tutti i tempi a Chrysler. Nononostante i numeri non sembra avere, assicurano a Wall Street, il rilievo sistemico di Lehman.

Ma non è neppure una società qualunque: mercati del calibro del Cme, dell'Intercontinental Exchange e del Singapore Exchange si sono affannati ieri a bloccare i trader di MF Global per limitare i danni e verificare che le transazioni gestite da MF Global siano trasferite ad altri protagonisti. La Federal Reserve è stata costretta a sospendere la società dal novero dei 22 primary dealer nei treasury, onore che le aveva concesso solo quest'anno.
Ancor più, il crollo può rappresentare un segnale d'allarme sui rischi eccessivi che l'alta finanza continua a correre sfidando le strette nelle regole: l'esposizione a paesi europei in difficoltà di MF Global aveva superato quella della ben più solida Morgan Stanley – 4 miliardi, con liquidità 50 volte superiore – che pur di recente ha innervosito gli investitori con le sue avventure oltre Atlantico.

Segno del rilievo ormai conquistato dall'un tempo oscuro marchio dei derivati, inoltre, l'elenco dei creditori non garantiti è un invito nel salotto buono di Wall Street e non solo: Jp Morgan (ufficialmente 1,2 miliardi, ma fonti bancarie hanno precisato che sarebbe di 80 milioni), Deutsche Bank (forse un miliardo tra diversi bond) per arrivare alla rete Tv Cnbc, a studi legali quali Sullivan & Cromwell e Wachtell, Lipton, Rosen & Katz, a Bloomberg Finance e American Express, a società contabili come PricewaterhouseCoopers e Kpmg, al gruppo hi-tech Oracle e al liquidatore di Lehman Alvarez & Marsal. Tra gli stessi azionisti non mancano le «firme» celebri che potrebbero rimanere bruciate: il fondo JC Flowers controlla il 10 per cento.

L'odissea di MF Global – che opera in 12 paesi e 70 borse, ha duemila dipendenti di cui 600 a Londra ed è attiva in Italia senza filiali – ha travolto anche una delle figure di maggior spicco a Wall Street, quel Jon Corzine già presidente di Goldman Sachs e governatore del New Jersey, tornato dalla politica alla finanza per guidare la società. Proprio le mire del 64enne Corzine, però, sono state fatali: il suo obiettivo, diventato amministratore delegato nel marzo 2010 una volta persa la campagna per la rielezione a primo cittadino del New Jersey, è stato quello di trasformare una finanziaria specializzata in servizi di esecuzione e clearing di derivati, dove era fra i leader, in una stella nel rarefatto firmamento delle banche d'investimento, capace di aggressivi investimenti con i propri capitali. Sempre più lontana, cioè, dalle radici storiche: MF Global, scorporata nel 2007 dal fondo Man Group, nasce nei panni di broker dello zucchero a Londra 230 anni or sono.

Corzine, nel progetto di reinvenzione, ha coltivato esplicitamente un desiderio di rivalsa nei confronti del suo ex gruppo, Goldman. Aveva perso, pur uscendone miliardario, una battaglia al vertice nel 1999. E di sicuro non gli è mai difettata la fiducia in sé quando si tratta di obbligazioni: si era fatto le ossa, già a inizio carriera, sul reddito fisso. Peccato che il sogno di creare la «sua» mini-Goldman sia passato attraverso un gioco spericolato sui bond europei, a partire dalla fine dell'anno scorso. Lui era certo, ha raccontato chi lo conosce, che i titoli di paesi come Italia e Spagna a elevati rendimenti fossero l'affare del secolo. Non si aspettava il protrarsi e aggravarsi delle tensioni. Così autorizzò, incoraggiò e spesso gestì in prima persona una scommessa dopo l'altra, anche con qualche successo prima dell'estate. Ma nell'ultimo bilancio trimestrale, a fine settembre e nel pieno della bufera europea, il portafoglio del debito sovrano contava ben 3,13 miliardi di dollari in titoli italiani e 1,11 miliardi in bond spagnoli, seguiti da titoli belgi, portoghesi e irlandesi. E la società ha denunciato perdite per 186,6 milioni.

Ha sostenuto che si trattava di momentanei aumenti dei costi e cali nel trading, non di operazioni sbagliate sul debito europeo. Corzine ha provato a esprimere «soddisfazione» per riposizionamenti nel credito e performance nelle commodities. Nulla da fare. La crisi si è consumata in una settimana: uno scivolone del titolo in poche ore del 50%, seguito da fughe di clienti e controparti. Corzine ha tentato il savataggio in extremis, orchestrando un passaggio al broker online Interactive Brokers Group. Fallita una rapida vendita, tuttavia, è rimasto solo il tribunale e il Chapter 11, la protezione dai creditori, aspettando offerte per il gruppo o le sue attività.

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