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Questo articolo è stato pubblicato il 15 novembre 2011 alle ore 07:53.

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Nel momento più difficile per il sistema-Italia, con coraggio UniCredit lancia un aumento di capitale da 7,5 miliardi che supera le richieste delle Authority e le nuove regole patrimoniali. Lo fa dopo un'operazione-verità sui conti, che serve a presentarsi sul mercato avendo eliminato dal bilancio perdite (ed errori) del passato. Una svolta che è anche un messaggio di fiducia nel Paese.

Nella tripla mossa di UniCredit (aumento-piano-pulizia dei conti) c'è tutto il pragmatismo del nuovo chief executive officer Federico Ghizzoni che, a poco più di un anno dal suo insediamento al posto di Alessandro Profumo, ha definitivamente preso in mano le redini della banca. Facendo quello che era necessario fare già da alcuni anni: un'operazione-verità sui conti e un maxi-aumento di capitale che proietti definitivamente il gruppo fuori dalle incertezze che dal 2008 lo hanno penalizzato sul mercato.
Prima ancora che il rischio-Italia si palesasse in estate come un'emergenza, UniCredit stava già lavorando a una ricapitalizzazione che doveva attestarsi sui 5 miliardi. Nelle ultime settimane, Ghizzoni ha rotto gli indugi puntando sul 50% in più: 7,5 miliardi. Scelta coraggiosa, e non facile da far digerire alle Fondazioni azioniste, anche perchè accompagnata dalla decisione di non assegnare dividendo ai soci per il 2011.

Una serie di misure dolorose nell'immediato (cui si aggiungono gli oltre 5mila esuberi in Italia) ma necessarie per garantire la fiducia del mercato. Gli azionisti di UniCredit, come i finanziatori del debito pubblico italiano, sono in gran parte investitori istituzionali internazionali. Alle Fondazioni fa capo il 15% circa del capitale. Si arriva a poco più del 20% con i soci privati italiani (da Pesenti a Maramotti).
Anche ipotizzando uno sforzo superiore alla pura sottoscrizione pro-quota, in mani italiane non c'è e non ci sarà più del 25-30%. Il resto dei 7,5 miliardi di aumento di capitale dovrà arrivare dai fondi esteri. Non meraviglia, dunque, che Ghizzoni abbia varato un piano industriale ambizioso ma soprattutto concreto: alle promesse di aumentare i ricavi, fa da contraltare un corposo piano di taglio dei costi.

Che si concretizzerà anche rinunciando ad attività 'blasonate' ma non redditizie come quella della ricerca azionaria per la clientela istituzionale. Ancora: UniCredit conferma la vocazione a essere e rimanere banca paneuropea. Ma ammette di voler cedere banche in alcuni Paesi dell'est ‐ pur non rivelando i nomi delle banche, per non compromettere trattative in corso ‐ focalizzandosi sulle aree più redditizie: Germania, Polonia, Turchia, Russia.
La vera scomessa per il futuro resta tuttavia il rilancio dell'Italia. Da qui arrivano tuttora il 40% dei ricavi del gruppo, ma gli utili restano a zero. Colpa di operazioni sbagliate, ma anche e soprattutto di un'economia che non cresce e che, per le banche, genera sofferenze su crediti. La ripresa dell'Italia rappresenta la vera chiave del turnaround di UniCredit.

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