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Questo articolo è stato pubblicato il 13 dicembre 2011 alle ore 17:17.
Improvvisa impennata del prezzo del petrolio, nelle contrattazioni pomeridiane, con un aumento repentino di quasi 3 dollari al barile oltre quota 100 dollari. Il Wti scadenza gennaio è schizzato fino a 101,26 dollari al barile (97,77 dollari la chiusura ieri) per poi ripiegare a 99,81 dollari, mentre all'Ice di Londra il Brent è salito di oltre 2 dollari fino a 109,33 dollari. Tra le possibili spiegazioni del balzo, vengono citate voci di possibile chiusura dello stretto di Hormuz da parte dell'Iran come ritorsione nei confronti dell'accordo al Congresso per le sanzioni contro la Banca centrale iraniana, in segno di protesta per il programma nucleare di Teheran.
Altre ipotesi parlano di reazione dei mercati a un ulteriore stimolo all'economia che potrebbe essere annunciato oggi dalla Federal Reserve, con un terzo round di acquisti di bond. Ma non si esclude nemmeno l'errore di un trader. Le quotazioni sono comunque ridiscese non appena il portavoce del ministero degli Esteri iraniano ha smentito la chiusura dello stretto di Hormuz (che collega Iran e Oman e dal quale transitano 15,5 milioni di barili di greggio al giorno, un sesto del consumo mondiale, secondo stime ufficiali Usa).
Vertice Opec
Questa mattina, peraltro, l'Agenzia internazionale dell'energia (Aie) aveva tagliato in modo pesante le stime della domanda mondiale di greggio per il 2011 e il 2012. Le attese sono state ridotte di 160mila barili al giorno per il 2011 e di 200mila barili per il 2012. «La combinazione di un contesto economico mondiale difficile e di un prezzo del petrolio sempre elevato - spiega l'agenzia - ci ha portato a rivedere al ribasso le nostre previsioni». Uno scenario ribassista, quindi, al quale di sono aggiunti anche i deludenti dati del vendite al dettaglio americane di novembre.
Domani si terrà a Vienna il vertice autunnale dell'Opec e sembra che i ministri del cartello siano orientati al mantenimento dello status quo sulle quote di produzione. «Non c'è scarsità nè eccesso di offerta e questo equilibrio spingerà probabilmente i produttori a non cambiare in nessun modo il plafond attuale», ha spiegato il ministro kuwaitiano del petrolio Mohammed al-Bassiri.
A sei mesi dall'ultimo incontro, restano ancora evidenti le conseguenze dello strappo tra Arabia saudita, favorevole lo scorso giugno ad un aumento delle quote per far fronte allo stop della produzione libica, e Venezuela e Iran, contrari ad ogni innalzamento. Da allora, Riad ha deciso di accrescere comunque la propria estrazione portandola ai massimi dal 1980. Da qui l'irritazione dei Paesi meno filo-occidentali.
«I paesi del Golfo devono ridurre la loro offerta per adeguarsi alla ripresa della produzione della Libia», ha insistito il ministro venezuelano dell'energia Rafael Ramirez.
Secondo i dati dell'Aie, in totale l'Opec, da cui dipende il 35% dell'offerta mondiale di greggio, ha pompato a novembre 30,68 milioni di barili al giorno, molto al di sopra del tetto ufficiale fissato da gennaio 2009 a 24,84 milioni di barili.
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