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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2012 alle ore 07:49.
Ci sono 30mila imprese italiane destinate a chiudere quest'anno per effetto della crisi e soprattutto del credit crunch. Più di 700mila posti di lavoro sono ancora a rischio nel nostro Paese, dunque, che già registra un tasso (ufficiale) di disoccupazione vicino al 9%. L'allarme arriva dal sistema dei Confidi, riunito ieri a Firenze per il 6° convegno nazionale della categoria, organizzato da Res consulting group in collaborazione con l'Università degli studi del capoluogo toscano.
La chiusura dei rubinetti del credito, in una fase recessiva come quella attuale, è il principale scoglio da superare e i Confidi rivendicano il «ruolo di ammortizzatore sociale per le aziende», come sottolinea Francesco Bellotti, presidente di Assoconfidi, 316 associati, 46 miliardi di garanzie prestate e oltre un milione d'imprese assistite. «Stiamo producendo uno sforzo considerevole anche sul terreno dell'innovazione e del cambiamento, per esempio accompagnando la crescita e lo sviluppo internazionale delle aziende», aggiunge Bellotti, che auspica modifiche graduali e non traumatiche del quadro normativo.
Eurofidi, principale consorzio italiano di garanzia, con quasi 47mila imprese associate e 3,7 miliardi di attività, si prepara a entrare nel campo dell'equity: «Nel secondo trimestre dell'anno inizieremo a garantire gli investimenti nel capitale delle Pmi», racconta Andrea Giotti, direttore generale del consorzio che ha sede a Torino e opera su scala nazionale. «Possiamo impegnare fino a un miliardo in questa direzione - continua -. L'obiettivo è quello di favorire l'ingresso di nuovi imprenditori e mezzi freschi nelle piccole e medie aziende, offrendo una garanzia a 5-7 anni sulle eventuali minusvalenze patrimoniali: un modo per spingere la ricapitalizzazione delle imprese».
Anche i confidi più piccoli sono impegnati a diversificare l'attività. «La situazione del credito è drammatica e noi proviamo da una parte a rafforzare il dialogo con il sistema bancario e, dall'altra spingiamo sul settore dei servizi e della consulenza alle aziende», spiega Bartolo Mililli, amministratore delegato del Confeserfidi di Scicli, in provincia di Ragusa: come scherzando lui stesso puntualizza, il «confidi 107 più a Sud d'Europa» (cioè un intermediario finanziario soggetto alla vigilanza di bankitalia), 100 milioni di garanzie prestate, 1.500 operazioni in essere e 10mila soci.
«Le crisi spingono al cambiamento e Confeserfidi è impegnata a diversificare la produzione fino al 49% dell'attività, come previsto dalla normativa», aggiunge Mililli. Di «Situazione molto pesante» parla anche Roberto Castellucci, direttore generale di Artigiancredito Toscano, 60mila imprese associate e 540 milioni di garanzie rilasciate nel 2011, con una flessione del 20% circa. «Un trend negativo che abbiamo registrato anche nel mese di gennaio - spiega Castellucci -. Le banche, che prima trattavano le convenzioni sui tassi ogni due anni, ormai vogliono rivedere le intese mensilmente e in alcuni casi addirittura alla giornata, con spread mediamente del 4% sull'Euribor».
I confidi, però, possono arginare l'emorragia del credito e, grazie anche alla trasformazione in soggetti vigilati dalla Banca d'Italia, di cui al convegno ha parlato Domenico Albamonte dell'istituto centrale e Lorenzo Gai dell'Università di Firenze. Così come Bruno Panieri ha illustrato la riforma in atto di mediatori e agenti, cioè delle reti commerciali. Ma è dal rapporto con il sistema bancario, al centro della tavola rotonda a cui hanno partecipato Intesa Sanpaolo, Unicredit, Montepaschi e Bnl (Bnp Paribas), che può venire una risposta.
Un ruolo decisivo lo gioca il Fondo centrale di garanzia per le Pmi, passato dalle 1.200 operazioni del primo anno di vita, nel 2000, alle 55mila del 2011, e rifinanziato per 400 milioni con il recente decreto "Salva Italia". «Le risorse ci sono, lo strumento funziona ed è a disposizione delle imprese», sintetizza Claudia Bugno, presidente del comitato di gestione del Fondo che per il 65% opera con i confidi e per il 35% direttamente con le banche.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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