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Questo articolo è stato pubblicato il 03 aprile 2012 alle ore 12:44.

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Sarà pure tornato un certo ottimismo fra i consumatori statunitensi ma fra le big bank del credito a stelle e strisce non tira buona aria. Tanto che entro metà maggio l'agenzia di rating Moody's potrebbe annunciare una raffica di downgrade. Nel mirino ci sono 17 istituti di credito, fra cui i big Bank of America, Citigroup, Morgan Stanley, Goldman Sachs e Jp Morgan Chase (guarda il grafico delle big bank a rischio downgrade). Segnale che la crisi del credito non è del tutto messa alle spalle. Del resto, anche Standard and Poor's, altra big del mondo del rating, non ha usato mezzi termini sulle banche italiane indicando che potrebbero navigare ancora per diverso tempo in regime di bassa redditività, con politiche di dividendo molto prudenziali.

Il taglio più consistente potrebbe riguardare Morgan Stanley che rischia una caduta di tre gradini nella scala del rating (da A2 a Baa2). Rischia di di uscire dal club delle A anche Citigroup su cui incombe la spada di Damocle di un taglio di due "notch" (da A3 a Baa2). Stesso rating a cui potrebbe essere declassata anche Bank of America, dall'attuale Baa1. Dovrebbero conservare la A, invece, Goldman Sachs e Jp Morgan nonostante un possibile taglio di due gradini (rispettivamente ad A3 e A2).

Insomma, le banche americane – da cui nel 2007 è partita la crisi subprime, poi sfociata nel credit crunch internazionale e a sua volta dilagato nell'attuale crisi dei debiti sovrani dell'Eurozona – non scoppiano di salute.

Un'eventuale raffica di downgrade preoccupa gli ambienti vicini a Wall Street. Sia per l'impatto che avrebbe sul costo delle obbligazioni emesse dalle stesse banche (che sarebbero costrette a pagare tassi più alti in cambio della maggiore rischiosità dei loro titoli). Senza considerare l'impatto che avrebbe sul mercato multi-milionario dei derivati. Molti contratti, infatti, contengono come fattori scatenanti proprio il taglio di rating sotto livelli predeterminati. In caso di downgrade prevedono che un cliente possa recedere dal contratto stipulato con l'istituto declassato spostandolo presso un altro che presenta garanzie migliori.

Secondo le previsioni degli analisti interpellati dal New York Times i contratti derivati più vulnerabili a un taglio di downgrade sarebbero quelli con un orizzonte temporale superiore ai cinque anni, i più redditizi per una banca che li emette.

E poi ci sono i fondi di investimento. Anche in questo caso una bocciatura da parte delle agenzie di rating potrebbe impattare sulle banche colpite. I grandi fondi, infatti, prevedono policy per cui è possibile effettuare operazioni di trading solo su titoli finanziari al di sopra di un certo rating.

Al di là, o al di qua, del guado gli istituti di credito continuano a muoversi in un territorio pieno di spine.

www.twitter.com/vitolops

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