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Questo articolo è stato pubblicato il 09 maggio 2012 alle ore 17:26.

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Inizio novembre 2007: con un annuncio totalmente inatteso, il Montepaschi acquista AntonVeneta dal gigante spagnolo Santander. A un prezzo record: 9 miliardi di euro, totalmente per cassa. La crisi bancaria globale è già iniziata in agosto - con il default della britannica Northern Rock - ma non ancora esplosa. La grande finanza europea può ancora indulgere dietro uno dei suoi ultimi "falò": la maxi-Opa da 72 miliardi di euro sull'olandese Abn Amro.

La scalata (quasi per intero "carta su carta", con concambi azionari) è talmente kolossal che ci si son messe in tre: Royal Bank of Scotland (poi in quasi-dissesto e nazionalizzata al 66% dallo Stato britannico); la belga-olandese Fortis (salvata un anno dopo dai rispettivi governi) e per l'appunto, il Banco Santander, allora come ora feudo della famiglia Botìn, la banca europea cui, quattro mesi fa, lo stress test Eba ha però certificato il più elevato "buco patrimoniale" nell'eurozona (15 miliardi di euro). Ma quattro anni fa o poco più, tutto sembra ancora impensabile: e quando i tre scalatori si spartiscono le spoglie di Abn, nel carniere del Santander finisce anche l'italiana Antonveneta.

Sono passati appena due anni da quello che era sembrato il caso finanziario del decennio. Nell'estate 2005 il «Financial Times» aveva dedicato numerosi titoli d'apertura al confronto tra Abn Amro - che aveva lanciato un'Opa sulla banca di Padova, dopo esserne stata a lungo azionista-partner - e la contro-scalata architettata dalla Popolare Italiana di Gianpiero Fiorani, con l'appoggio tacito della Banca d'Italia di Antonio Fazio. Una "saga" strettamente connessa con la scalata di Unipol a Bnl e con il raid dell'immobiliarista Stefano Ricucci su Rcs.

Con esiti clamorosi: la Procura di Milano sequestra il 40% di AntonVeneta in mano a Fiorani e li dissequestra quando Fiorani è fuori gioco e la Bpi aderisce all'Opa Abn; e Fazio è costretto a dimettersi (anni poi subisce anche una condanna penale in primo grado) per far posto a Mario Draghi. Quando il Santander - uno dei gruppi europei pur storicamente più attenti al mercato italiano - decide di disfarsi al più presto dell'AntonVeneta per rientrare dei costi dell'Opa, in Italia nessuno si emoziona più di tanto.

Se addirittura l'ex Popolare veneta (via via cresciuta come polo nazionale da 1.200 sportelli) "torna a casa" al Montepaschi, l'umore di fondo dell'establishement bancario nazionale è tutt'altro che negativo: tanto più più che, fino all'ultimo, pare che su AntonVeneta abbia messo gli occhi BnpParibas, il colosso francese già protagonista del blitz su Bnl, al termine del torrido 2005.

Certo, di fronte ai 9 miliardi sborsati sull'unghia da Rocca Salimbeni, qualche sopracciglio si aggrotta: il prezzo appare "da amatore" e gli equilibri di bilancio del gruppo senese sembrano messi seriamente in discussione. Il Monte capitalizza in Borsa 12,6 miliardi di euro e per finanziare l'acquisizione - che prosciuga il suo "patrimonio libero" - deve lanciare un aumento da 5 miliardi di euro (ed è questo uno degli snodi su cui oggi ha acceso un faro potente la Procura di Siena). Però la Banca d'Italia, alla fine, non è contraria. Non è la prima volta, del resto che il Montepaschi fa valere la sua "diversità": anzitutto quella di una Fondazione che - a a dispetto di tutte le prescrizioni di legge a partire dal 1990 - non era mai scesa sotto il 51% del controllo della banca "privatizzata".

Era stato così, del resto, che Mps si era tenuto rigorosamente fuori - e si è tenuto fino ad oggi - dal grande gioco delle fusioni che avevano creato i "campioni nazionali" Intesa e UniCredit. Ed era stato così che la Rocca aveva preferito acquistare la Banca Agricola Manovana e poi la Banca del Salento. Crescita "aggregante" hanno ripetuto gli analisti: sempre rigorosamente per cassa, sempre a "prezzo d'amatore". Sempre inseguendo, dal 1472, il sogno di coniugare una tradizione secolare di "big banking" con le regole della turbo-finanza.

Un sogno già virtualmente infranto quando il Montepaschi - il cui presidente Giuseppe Mussari diventa poi anche presidente dell'Abi - deve ricorrere nel 2009 ai Tremonti-bond per puntellare la sua solidità patrimoniale con mezzi pubblici. Da oggi il sogno è anche un'ipotesi di reato.

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