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Questo articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2012 alle ore 18:13.

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(Corbis)(Corbis)

Nelle sale riunioni delle banche centrali e non è più considerato un tabù, non è più una parola indecente da pronunciare. E in parte i mercati - soprattutto alcuni grandi hedge fund - ci scommettono, anche se la relativa forza dell'euro (1,27 contro il dollaro, cioè il livello di gennaio scorso) non sconta certo un'euro-implosione alle porte. La Grecia tuttavia potrebbe dare l'addio all'euro, anzi alla stessa Unione Europea visto che un'uscita dalla sola moneta unica non è contemplata dai trattati. Un pericoloso precedente che scatenerebbe il contagio prima di Lisbona e Dublino, e subito dopo di Madrid e Roma, dove si accanirebbe la speculazione internazionale.

Ma quale sarebbe il grado di "infezione"?
Italia e Spagna rischierebbero di non riuscire a rifinanziare il debito, uscendo dal mercato come Grecia, Portogallo e Irlanda? E in questo caso, il firewall costruito dal fondo salva-Stati (700 miliardi) sarebbe sufficiente?

«Il problema è che non esiste una procedura ordinata di uscita di un Paese dall'euro - sottolinea Andrea Mognon, asset manager di Banca Zarattini di Lugano - . L'uscita non può essere che caotica e il contagio è assicurato. Non sono certo i firewall del fondo salva Stati che potranno arrestarlo. La risposta deve provenire dalla politica europea, ma non arriverà presto. E i mercati andranno a cercare di scoprire ogni bluff. Auguriamoci quindi che Atene non esca da euro e Ue».

Angelo Drusiani, asset manager di Banca Albertini Syz, non si fa illusioni. «Per "salvare" Italia e Spagna, e in generale l'area euro, l'unica soluzione è trasformare in un modo o nell'altro la Bce in prestatore di ultima istanza: acquisto di debito pubblico senza limiti». Ma non è detto che una Bce prestatore di ultima istanza sia l'arma finale, senza una consolidata unione fiscale.

Lo scenario estremo sarebbe quello di un'uscita anche dell'Italia e della Spagna dalla moneta unica, a quel punto con l'implosione dell'euro. «Un'ipotesi drammatica: nel nostro Paese avremmo una moneta svalutatissima, tre-cinque anni di iperinflazione (circa il 20%, come nel '92) e disoccupazione a livelli insostenibili - sottolinea Drusiani - anche se dopo qualche anno l'Italia tornerebbe a essere competitiva, anche in settori industriali come quelli del "bianco" ormai emigrati in altri Paesi come la Turchia». Ma sarebbe una catastrofe, sia per le ricadute finanziarie ed economiche che, ancor di più, per quelle sociali.

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