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Questo articolo è stato pubblicato il 16 maggio 2012 alle ore 15:34.
L'ultima modifica è del 16 maggio 2012 alle ore 12:34.
Punto e a capo. Le elezioni del 6 maggio hanno decretato una squadra di partiti non in grado, dopo tre tentativi, di formare un nuovo governo capace di guidare Atene in questa tempesta perfetta. Il 17 giugno i cittadini greci torneranno alle urne. Nel tentativo disperato di rimescolare le carte e creare un assetto partitico convincente per affrontare il delicato tema: euro o non euro?
Tentativo disperato perché i partiti sono quantomai disallineati: i conservatori di Nea Dimokratia (che hanno incassato il 6 maggio la maggioranza relativa con il 19,3% delle preferenze) e i socialisti del Pasok (terzi con il 13,4%) puntano il dito contro la sinistra radicale di Syriza, secondo partito uscito dalle elezioni con il 16,5% dei voti, per aver detto "no" a un governo tecnico col solo scopo di andare alle urne, visto che i sondaggi la danno in grande crescita di consensi. Syriza, secondo gli avversari politici, avrebbe messo in secondo piano gli interessi del Paese, sull'orlo del fallimento e con buone probabilità di uscire dall'euro.
Lo spot elettorale del partito Syriza è focalizzato su una contrarietà al piano di salvataggio imposto dalla Troika (Bce-Ue-Fmi), che si traduce in rigide misure di austerity, ma allo stesso tempo in una permanenza nell'euro.
È una via praticabile? Cosa accadrebbe se il prossimo 17 giugno Syriza vincesse le elezioni conquistando quindi la possibilità di giocarsi questa carta? O se, a sopresa, vincessero i partiti favorevoli al piano di salvataggio, attualmente sfavoriti nei sondaggi?
Da un'analisi del Wall Street Journal emergono tre possibili scenari sul futuro della Grecia (con pesanti condizionamenti per gli altri Paesi dell'Eurozona, Spagna e Portogallo in primis, costantemente a rischio contagio).
Scenario 1: ripudio del piano di salvataggio
Se Syriza vince le elezioni e decide di non onorare il piano di salvataggio ma di mantenere l'euro, la reazione dell'Unione europea potrebbe essere durissima con una sospensione dei prestiti, pur accettando le gravissime ripercussioni che avrebbe su Spagna (alle prese con una profonda crisi immobiliare rimbalzata in modo vigoroso sul settore del credito) e Portogallo (Paese che, al pari di Irlanda e Grecia, ha fatto ricorso al piano di salvataggio forzoso europeo).
È stimato che le casse di Atene, senza nuovi prestiti, sarebbero vuote già da luglio. A quel punto la Grecia non pagherebbe più i propri debiti ma allo stesso tempo non potrebbe più ricapitalizzare le banche secondo il piano concordato con l'Ue. In questa spirale, la Banca centrale europea impedirebbe alla Banca greca di stampare euro imponendole un forzoso ritorno alla dracma.
I cittadini potrebbero però muoversi d'anticipo prelevando dai conti correnti euro (valuta che ovviamente varrebbe ben di più di un'eventuale seconda edizione della dracma). Fenomeno, quello del "bank run" che peraltro sarebbe già in atto, visto che secondo alcune fonti solo ieri sarebbero stati ritirati dai conti greci 700 milioni di euro. Per evitare ciò, il governo greco potrebbe imporre la chiusura delle banche reintroducendo di forza la dracma.
Insomma, la terza via a cui punta il partito Syriza (euro sì ma senza salvataggio) pare quantomai impervia. Anche perché, per quanto difficilmente calcolabili, i costi sistemici di uscita della Grecia dall'euro potrebbero aggirarsi intorno ai mille miliardi di euro.
Scenario 2: rinegoziazione del piano di salvataggio
A sorpresa i partiti pro-euro che propongono una rinegoziazione del piano di salvataggio trionfano con larga maggioranza alle elezioni, ribaltando i sondaggi. In questo caso va testato l'atteggiamento politico di Germania, Austria e Olanda che da tempo spingono sulla linea del rigore, chiusi a ulteriori concessioni sui tempi di attuazione delle politiche di austerity concordate per far rientrare la Grecia nel lungo periodo dal debito.
Scenario 3: il piano di salvataggio viene rispettato
È meno probabile ma è da annoverare anche lo scenario in base al quale, qualunque governo vada al potere, Atene accetti di proseguire a testa bassa sull'attuale linea del rigore, condizione per cui l'Unione europea elargisce finanziamenti alla Grecia. Una linea che contempla l'inasprimento delle misure di austerity su salari e pensioni con il gravissimo rischio che l'economia greca (in recessione da cinque anni, nel 2011 a -7,5%, nel primo trimestre 2012 a -6,2%) rimanga imballata ancora a lungo con cittadini strozzati da una qualità della vita sempre più precaria.
Insomma, da qualunque angolo la si guardi, l'economia greca è intrappolata nel breve periodo. Con foschi spiragli di recupero nel medio-lungo e conseguenze sugli altri Paesi dell'area euro, Spagna e Portogallo in primis (a giudicare dall'andamento degli ultimi giorni degli spread obbligazionari).
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