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Questo articolo è stato pubblicato il 25 luglio 2012 alle ore 06:43.

Uno scellerato patto occulto o un tentativo di ricatto da parte della famiglia Ligresti nei confronti di Mediobanca? È l'interrogativo suscitato dal ritrovamento di una lettera, sequestrata dalla Procura di Milano all'avvocato Cristina Rossello, segretaria del patto di sindacato di Mediobanca. Due paginette in tutto in cui erano messe nero su bianco le condizioni della famiglia per farsi da parte nell'operazione Unipol-FonSai.
Il presunto accordo
L'intesa prevederebbe una sorta di buonuscita cash di 43 milioni di euro, pari al controvalore di circa il 30% delle quote Premafin, per Salvatore e i suoi figli. Il presunto contratto privato destinerebbe all'ingegnere di Paternò un ufficio con segretaria, un autista e una cascina e prevederebbe una sorta di "liquidazione" per Jonella Ligresti e il mantenimento delle attività lavorative in Francia e in Svizzera per Giulia e Paolo Ligresti. Salvatore Ligresti durante l'interrogatorio con il sostituto procuratore Luigi Orsi, giovedì scorso, avrebbe dichiarato di aver sottoscritto il documento poi consegnato all'avvocato Rossello come «fiduciaria dell'accordo». Ma nel documento sequestrato sempre giovedì dagli inquirenti, nello studio del legale, non compare alcuna firma. Inoltre il costruttore ha affermato di non avere informato Federico Ghizzoni e Carlo Cimbri, gli ad di Unicredit e Unipol, pure citati nel presunto accordo, e quindi di non avere idea se fossero stati messi al corrente della vicenda.
A svelare ai magistrati milanesi i dettagli e i retroscena del presunto accordo, che sarebbe stato raggiunto in un ufficio di Foro Bonaparte il 17 maggio scorso, sarebbe stato Paolo Ligresti "scontentato" dalla presunta intesa con piazzetta Cuccia. Il 6 luglio Paolo Ligresti scriveva, in una missiva inviata ai vertici di Premafin, a Consob e Isvap, che «l'operazione Ugf, come è ormai evidente a tutti, è stata ideata, strutturata, proposta e, per quanto riguarda Premafin, imposta di fatto da Mediobanca e da Unicredit, principali istituti creditori della stessa Premafin e del gruppo Fonsai». Immediata la replica di piazzetta Cuccia, che ha spiegato che «l'avvocato Cristina Rossello non è legale di Mediobanca nel dossier in corso». E soprattutto che «non c'è nessun accordo con i Ligresti nè sono mai stati firmati documenti».
Lettera senza firme
E in effetti la lettera sequestrata non reca le firme di Salvatore Ligresti e neppure di Alberto Nagel. Ora nella vicenda, dopo che ieri Cristina Rossello è stata ascoltata in procura per ore come testimone, piomba anche la Consob. L'Autorità farà accertamenti autonomi, in aggiunta a quelli della procura, per capire come stanno le cose in merito alla presunta lettera di accordo tra Mediobanca e i Ligresti sulla vicenda FonSai. La Consob secondo le attese convocherà le parti, puntando a chiarire se la lettera, precedente all'esenzione dall'Opa su FonSai e non firmata, abbia avuto un seguito trasformandosi in un accordo di transizione o se sia stata semplicemente stracciata.
Ricatto o meno, quel batter cassa da parte dei Ligresti non è nuovo: già nel tentativo di salvare Imco e Sinergia (dichiarate fallite dal Tribunale) la famiglia pretendeva 50 milioni di cassa. Segno di una forte sofferenza finanziaria, almeno nelle due holding personali, che pur avevano attinto centinaia di milioni da FonSai e dalla Milano nel corso degli anni. Ma è anche vero che sia Mediobanca che UniCredit hanno accumulato tanti di quei prestiti alla famiglia da divenire in qualche modo ricattabili. Mediobanca è esposta su FonSai per un miliardo, il 15% del suo capitale netto. UniCredit per 500 milioni. Un miliardo e mezzo di crediti sui poco più di due miliardi dell'esposizione con le banche della famiglia Ligresti. Una concentrazione di rischio elevatissima.
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