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Questo articolo è stato pubblicato il 06 agosto 2012 alle ore 15:48.

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Le banche americane si preparano a un eventuale crac dell'euro. In che modo? Contattando i clienti a cui hanno prestato denaro (mutuatari ad esempio) per rimodulare i contratti inserendo la clausola di break up della divisa unica europea, sinora non contemplata. Le stesse banche Usa - secondo quanto risulta al Financial Times - starebbero aumentando l'acquisto di credit default swap per proteggere i propri investimenti dall'altra parte dell'Atlantico. Oltre a moltiplicare gli sforzi degli studi legali per capire come evitare di ricevere pagamenti in dracme e peseta svalutate in caso di uscita dall'eurozona e di ritorno, per alcuni Paesi dell'Ue, al proprio conio.

Nel frattempo l'esposizione netta verso le cinque economie periferiche dell'area - Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia (i Piigs per intenderci) - è in costante diminuzione. Come risulta dai documenti che periodicamente le banche Usa inviano alla Federal Reserve dopo che dalla scorsa estate le autorità americane, preoccupate proprio per l'avvilupparsi della crisi dell'euro, hanno preteso un costante monitoraggio del peso di titoli europei nei portafogli delle big bank a stelle e strisce.

Al momento tra le top, Morgan Stanley è quella meno esposta (considerando i dati netti): è scesa dai 6,5 miliardi di dollari di fine 2011 a 4,2. Segue Goldman Sachs (2,4 miliardi rispetto ai 5,2 del primo quarto dello stesso anno). Poi c'è Bank of America che mantiene un'esposizione netta nei Piigs di 9,6 miliardi (erano 12,7 a fine 2011). La più esposta è JpMorgan con un peso netto di 12,5 miliardi nella periferia dell'Eurozona, in calo rispetto ai 16 dello scorso anno.

twitter.com/vitolops

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