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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2012 alle ore 08:31.

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Blankfein, Chenault, Lewis, YinglingBlankfein, Chenault, Lewis, Yingling

I grandi banchieri hanno finalmente appreso la lezione di umiltà dopo le accuse di avidità e gli scandali a ripetizione occorsi a grandi banche coinvolte nell'alterazione del tasso Libor e perfino del riciclaggio di denaro sporco secondo le accuse della commissione del Senato americano? La risposta alla domanda non è ancora univoca, ma secondo Hugo Dixon, presidente di Breakingviews di Reuters lo spirito del tempo (lo Zeitgeist) sta cambiando verso le grandi banche "too big to fail", troppo grandi per poter fallire.

I banchieri internazionali più avvertiti (si veda da ultimo il caso dei nuovi ceo di Barclays e Deutsche Bank ad esempio) hanno fiutato l'aria di cambiamento e hanno capito in anticipo che bisogna riconquistare la fiducia perduta tra i risparmiatori delusi. I banchieri hanno capito, più in generale, che dopo la turbo-finanza occorre un nuovo capitalismo, meno finanziario e più attento alla creazione di valore piuttosto che puntare solo su levereging e il trading con la presa di rischi a senso unico.

Gli azionisti nei consigli di amministrazione stanno alzando la voce sul tema dei compensi e stanno chiedendo sempre più spesso di ridurre i super bonus di fine anno ai manager del credito e qualcosa sta cambiando anche se ancora a volta troppo lentamente. Lo storico botta e risposta del 27 gennaio 2011 al World Economic Forum di Davos tra l'allora presidente francese Nicolas Sarkozy e il ceo di JPMorgan Jamie Dimon che gli chiedeva di evitare l'eccesso di regolamentazione (overregulation) delle banche nel successivo vertice del G20, sembra acqua passata se non addirittura preistoria di una stagione ormai archiviata.

In quell'occasione Dimon, in rappresentanza delle categoria dei super-banchieri, aveva detto che era la "bad policy" la cattiva politica che avrebbe potuto far andare le cose in modo peggiore mentre l'industria finanziaria stava cercando di recuperare dopo il crack del 15 settembre 2008 di Lehman Brothers. Non è andata proprio così. Senza il generoso aiuto pubblico del Tarp, il Troubled Asset Relief Program varato nell'autunno del 2008 dall'amministrazione Bush, molte banche americane non si sarebbero salvate dalla bancarotta anche se è vero che Dimon non ne ha mai chiesti né usati per la sua banca.

Anthony Jenkins nominato Ceo di Barclays dopo lo scandalo Libor, come Anshu Jain, Ceo di Deutsche Bank dopo Joseph Ackermann, hanno inaugurato nuove politiche che hanno come prima mossa la riduzione dei bonus. È solo l'inizio di una nuova stagione dei compensi dei giganti del credito? Forse sì ma sicuramente indietro non si torna. E il segnale è chiaro: una stagione è finita e ad esempio la Deutsche Bank targata Anshu Jain sarà sempre più globale, sempre meno tedesca e sempre meno la banca considerata soprattutto l'istituto di riferimento dell'industria tedesca. Magari con meno bonus.

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