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Questo articolo è stato pubblicato il 05 ottobre 2012 alle ore 08:43.

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Emilio Gnutti (Imagoeconomica)Emilio Gnutti (Imagoeconomica)

Ci sono davvero tutti gli ex amministratori della Snia nell'avviso di chiusura indagini notificato ieri a 25 inquisiti "eccellenti". Ci sono i bresciani: Leonardo Bossini, Chicco Gnutti e Tiberio Lonati, questi ultimi di nuovo coindagati dopo la stagione dei processi sulle scalate bancarie. C'è Giovanni Consorte, ex ad di Unipol e attuale azionista di Intermedia. C'è il banchiere d'affari Giorgio Cirla e c'è Carlo Callieri, che di Snia è stato vicepresidente dal 1999 al 2007. E, ancora, c'è il professore di finanza dello Sda Bocconi Maurizio Dallocchio. E soprattutto ci sono Umberto Rosa, per anni alla presidenza della Snia e il suo ex amministratore delegato Carlo Vanoli.

L'inchiesta si era aperta dopo il 14 aprile del 2010 quando il tribunale di Milano (seconda sezione civile) aveva dichiarato l'insolvenza della storica azienda chimica, il cui 20% all'epoca dei fatti, era controllato direttamente dall'allora attivissima Hopa.
Tutto ciò a distanza di sette anni dall'operazione di scissione parziale (decisa il 13 maggio 2003) che aveva separato le attività biomedicali della Sorin da quelle chimiche, tradizionale core business della Snia. Così, senza alcun rischio di prescrizioni (il reato più grave di quelli contestati è la bancarotta fraudolenta che prevede una pena massima di 12 anni), i pm di Milano Luigi Orsi e Mauro Clerici hanno avuto la possibilità di analizzare nei dettagli un'operazione di ingegneria societaria che, sin dalle prime battute, aveva ingenerato non poche perplessità nella comunità finanziaria.

Forti e dettagliate le contestazioni ai manager: gli amministratori di Snia avrebbero dato vita a un'associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta per distrazione, che si sarebbe dispiegata sottraendo beni della società per 572 milioni di patrimonio netto conferendoli nella Sorin. In altri termini i manager avrebbero utilizzato le due società come vasi comunicanti facendo affluire alla società sana (la Sorin, che, da sola, generava il 76% dei ricavi) gli attivi della società in crisi depauperandola. Una sorta di gioco di prestigio, secondo i pm, per di più gravemente lesivo dell'integrità del patrimonio sociale di una Snia, che nonostante le iniezioni di liquidità e i successivi aumenti di capitale del 2005 e del 2007 andati a buon fine solo grazie al ricorso a capitali provenienti dalla Borsa, non si sarebbe mai più ripresa.

Tra le altre accuse vi sono quelle di false comunicazioni sociali e falso in bilancio. In particolare – secondo la procura – nella delibera di approvazione della scissione parziale e nel relativo documento informativo si sarebbe indicato il patrimonio complessivo di 954 milioni di cui 572 da attribuirsi alla Sorin mentre alla Snia restavano 382 milioni di euro. Peccato che questo valore ai pm risulti sopravvalutato, così come sopravvalutate sarebbero state le annunciate prospettive di recupero e anzi di sviluppo e rilancio del settore chimico: il core business della Snia.

Aggiornamento dell'8 giugno 2018
Il 20 aprile 2018, il Tribunale di Milano, con sentenza che verrà depositata entro 90 giorni, ha assolto Maurizio Dallocchio perché il fatto non sussiste.

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