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Questo articolo è stato pubblicato il 09 ottobre 2012 alle ore 11:54.

(Reuters)(Reuters)

Secondo Nicolò Nunziata di J&C Associati «la richiesta di aiuti, per Paesi per cui il mercato ne sconta la necessità, sarebbe un evento positivo. Nel lungo periodo contano ovviamente altri fattori. In primis la capacità di un paese di raggiungere gli obiettivi imposti senza compromettere crescita e risanamento. Facile a dirsi ma non a farsi. L'eventuale fallimento di un Paese nel raggiungimento degli obiettivi, dopo la richiesta di aiuti e l'intervento del Fondo, sarebbe un evento estremamente negativo per il futuro dell'euro e dell'eurozona».

Il popolo è ancora sovrano?
Altro tema caldo è quello della sovranità del popolo. Cosa implica, in termini di sovranità nazionale, per uno Stato dell'Ue chiedere gli aiuti? Rispetto alla situazione attuale con l'Ue che chiede già di rispettare i parametri di Maastricht e il fiscal compact cosa cambierebbe?
«Cambierebbe molto: i criteri originali del 3% di deficit annuale e 60% di debito rispetto al Pil impongono "unicamente" un obbligo di risultato - continua Roghi -. Già il nuovo trattato fiscale, il "fiscal compact", che entrerà in vigore a gennaio del 2013 comincia ad essere molto più intrusivo, sottoponendo i bilanci dei Paesi membri a un'approvazione preventiva da parte degli organi europei e introducendo la possibile attivazione della Corte di giustizia europea, ma si limita in principio ad una vaga nozione di coordinazione economica e per il resto pone degli obblighi di risultato e non entra nel dettaglio delle singole manovre che ogni paese membro dovrà adottare. Oggi uno stato che dovesse attivare il meccanismo del fondo salva-Stati dell'Ue e l'Omt della Bce (scudo anti-spread, ndr), invece, è obbligato a passare sotto le forche caudine di un "Memorandum of Understanding" negoziato con la Commissione europea e la Banca centrale europea, e eventualmente anche col Fmi, che prevede un preciso piano di azione per ridurre gli squilibri finanziari ed economici del Paese. Questo significa che il Paese si impegna, ed è quindi vincolato, ad attuare ed applicare tutte le riforme strutturali necessarie per risanare il paese, quindi anche le riforme sulle pensioni, competitività, lavoro, la giustizia,…ecc. Si tratta di una specie di "commissariamento" del Paese con delle verifiche regolari dello stato di avanzamento delle riforme e della situazione finanziaria dello stato in difficoltà. Per esempio nel caso attuale della Spagna, nonostante il governo stia portando avanti un programma avanzato di riforme strutturali, non sembra voler toccare le pensioni attualmente a 65 anni, ma in caso di domanda di aiuti è molto probabile che sarà costretto a portarle a 67 anni. Praticamente gli Stati che chiedono il sostegno dell'Europa, perché oberati da troppi debiti, perderanno gran parte della propria sovranità, non solo finanziaria, finché non riusciranno a risanare i propri conti».

Secondo Tardino «sebbene non siano chiarissimi i dettagli e manchi qualunque precedente per l'originalità del programma almeno in Europa, la differenza con il trattato di Maastricht è che questo imponeva parametri fiscali ma lasciava libero il mercato nella valutazione dei titoli pubblici e dei governi mentre lo scudo anti-spread si pone come obiettivo la valutazione dei titoli pubblici imponendo ai governi gli obiettivi fiscali affinchè venga garantito il giusto funzionamento della politica monetaria. La prospettiva è in poche parole ribaltata».

Al di là delle tecnicalità, pare che manchi ancora un disegno corale di fondo per la nascita degli Stati Uniti d'Europa. «L'unione monetaria da sola non è sostenibile, sia che ci si muova verso un'unione piena e un'integrazione all'interno dell'Eurozona sia che ci si muova verso una separazione o una disgregazione - spiega Pier-Alberto Furno, ceo di Nemesis am -. L'ostacolo politico principale è la rinuncia ad una sovranità nazionale sul fronte economico e finanziario. Senza un'unione bancaria, fiscale ed economica l'unione politica non avrebbe senso».

Per Carlo Benetti di Swiss & Global asset management sgr «la strada maestra è probabilmente quella di una diminuzione delle disuguaglianze, una equa ripartizione della ricchezza. Non dimentichiamo che il "momento Minsky", come è stato definito in gergo quel periodo di elevata instabilità successivo alla crisi del 2008, è stato generato da instabilità e disequilibri crescenti».

Un altro punto molto criticato è l'isolamento di un Paese nel momento in cui chiede gli aiuti. C'è chi, come Andrea Ragaini, ad di Banca Cesare Ponti, pensa sia giusto che a rinunciare a un pezzo di sovranità nazionale siano tutti i Paesi dell'Unione, e non solo i più deboli. «Ritengo personalmente virtuoso per la costruzione europea se tutti i 17 Paesi dell'Eurozona rinunciassero a un pezzetto della loro sovranità; ben diverso è perdere da soli (o con pochi altri) un pezzo di sovranità perché occorre correggere una errata valutazione che i mercati finanziari – con le loro attuali e non più adeguate eegole stanno compiendo». Il modo in cui è stato pensato lo scudo anti-spread (aiuta solo chi chiede aiuto) è quindi farraginoso? «Se il percorso fosse "automatico" e quindi lo scudo venisse azionato senza bisogno di richieste, il meccanismo di protezione europeo sarebbe perfetto. La condizionalità di azione lo rende per contro complesso e ne limita, come possiamo vedere in questi giorni con il caso Spagna, la sua applicabilità. Lo Stato richiedente viene infatti sottoposto ad un processo di analisi invasiva di una Troika formata da Ue, Bce, Fmi, che agisce secondo un protocollo già adottato nei casi delle crisi portoghese, irlandese e greca, Paesi questi ultimi che solo congiuntamente all'intervento Ue hanno varato riforme strutturali e che solo grazie agli aiuti Ue si sono potuti salvare. La valutazione indifferenziata di salvataggio per esigenza reale, Portogallo, Irlanda e Grecia, e per valutazione non corretta dei mercati finanziari, Spagna e Italia, non rende giustizia alla seconda categoria di Paesi».

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