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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2012 alle ore 14:18.

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Il debito della prima economia del pianeta, gli Stati Uniti, ammonta a 16mila miliardi di dollari. Per essere precisi, la cifra esatta - che però andrebbe aggiornata al ritmo di 3,5-4 miliardi al giorno - è di 16.190.979.268.766,67 di dollari. Poi c'è il Giappone, la terza economia del pianeta, che ha un debito superiore ai 10milia miliardi di dollari (più del doppio rispetto al Pil). L'Italia, che in questo momento è l'ottava economia del mondo incalzata da India, Canada e Russia, non scherza dato che ha ormai raggiunto la soglia dei 2mila miliardi di euro (oltre 2.500 miliardi di dollari al cambio attuale euro/dollaro 1,28) che, in prospettiva (considerate le stime calanti del Prodotto interno lordo nel 2012) dovrebbe attestarsi al 126% del Pil.

La lista dei Paesi fortemente indebitati è lunghissima. In questo momento tra i 20 Paesi primi nella classifica del Pil si nota una strana correlazione tra debito e livello di potenza. Come dire che, con qualche eccezione, gli Stati più forti sono anche i più indebitati.

E, a giudicare dalle prospettive sull'andamento dell'economia nei prossimi anni (negli Stati Uniti pesa l'incubo del precipizio fiscale mentre la cancelliera Angela Merkel non ha usato mezze misure nel dire che la crisi europea potrebbe durare anche altri cinque anni) è ragionevole ipotizzare che, nonostante le varie misure di austerity in atto, il livello di indebitamento medio è destinato a salire.

Questa ipotesi è corroborata da un report dell'agenzia di rating Standard and Poor's (Global Aging 2010: An Irreversible Truth) secondo cui nel 2060 il 60% dei Paesi andrà in bancarotta. Fra meno di 50 anni gli Stati Uniti dovrebbero veder crescere il proprio debito al 415% del Pil (rispetto all'attuale 140%).

Insomma, stiamo davvero andando verso la più grande bolla dei debiti della storia? È ormai fantascienza ipotizzare che i Paesi più sviluppati rientreranno in futuro dei propri debiti o, invece, è più logico aspettarsi che continueranno ad aumentare la loro esposizione verso creditori interni (famiglie e risparmiatori) o esteri?

Ciò è tenicamente possibile in un sistema monetario, come quello statunitense, dove nel momento in cui la Federal Reserve stampa moneta, la presta difatti allo Stato trasformandola immediatamente la stessa moneta in un debito.

«I debiti non verranno mai ripagati, la questione cruciale è fare in modo che siano sostenibili. Innanzitutto occorre cambiarne la traiettoria, in toeria semplicemente riducendone lo stock in relazione al Pil con politiche economiche adeguate -spiega Tommaso Federici, responsabile gestioni Banca Ifigest -. Da una parte con il consolidamento fiscale: riduzione del fabbisogno annuo e come deciso per i Paesi dell'eurozona, con bilancio pubblico in pareggio. Allo stesso tempo con una politica monetaria accomodante come nei casi inglese, statunitense e giapponese dove letteralmente monetizza il debito. Ma anche in maniera meno diretta consentendo un'inflazione superiore ai tassi nominali che i governi pagano sul debito. In sintesi, la politica monetaria deve in questo frangente innanzitutto scongiurare il rischio deflazionistico che porterebbe all'insostenibilità del debito nel medio termine. Purtroppo i debiti continueranno ad essere da freno per la crescita, ma la paura dei mercati riguardo il problema di debiti pubblici è sovrastimato. Tutte le istituzioni mondiali e nazionali stanno lavorando su questa questione più di ogni altra».

Secondo Gabriele Roghi, responsabile gestioni patrimoniali di Invest Banca «sembra sempre più difficile pensare che si possa ripagare questa mole di debito con mezzi convenzionali: è talmente elevato che necessita sostanzialmente di più di una delle seguenti condizioni: 1) una crescita economica che sia forte e più elevata del costo del debito da pagare e che quindi riesca a generare avanzi di bilancio elevati per abbattere il debito: 2) un tasso di inflazione che abbatte in termini reali lo stock di debito e consente di operare quella che tecnicamente viene identificata come "financial repression": tassi di interesse reali negativi inadeguati al merito di credito del debitore ed al livello di inflazione che crea la condizione per cui chi acquista i titoli di stato volontariamente paga una tassa per abbattere il debito: esempio molto semplice: chi compra un treasury americano a tre anni che rende 0,33% o anche il decennale all'1,6% paga volontariamente un proprio contributo all'abbattimento del debito americano dato che l'inflazione è tra 1,7 e 2%; 3) una qualche forma di ristrutturazione (delle durate o delle cedole), o cambiamenti delle regole del mercato o distorsione del mercato stesso con acquirenti di ultima istanza che sostengono arbitrariamente le quotazioni: in questa categoria rientrano le azioni di monetizzazione che attualmente le banche centrali stanno effettuando per sostenere la domanda che il libero incontro sul mercato non riesce a trovare acquirenti».

Come giudicare se un debito è veramente sostenibile? «Il modo migliore e la prima regola semplice per tenere sotto controllo e poi diminuire il debito di un Paese (come di una qualsiasi organizzazione) è di avere una buona crescita economica - argomenta Edoardo Chiozzi Millelire, responsabile per l'Italia Convictions am -. Ossia una crescita della ricchezza del Paese che sia superiore al costo del debito e quindi ai rendimenti reali dei titoli di stato (rendimento nominale– inflazione). Per esempio, gli Usa con una crescita reale del Pil del 2% circa (ed una crescita potenziale non inflattiva tra il 2.5%-3.5%) e dei rendimenti reali negativi, passa questo primo esame e se il nuovo Presidente riuscirà finalmente ad approvare un piano di rientro dei deficit credibile sul medio lungo termine, non ci saranno problemi. Da noi invece la situazione è ben diversa: ormai sono anni che l'Italia cresce nel migliore dei casi allo 0,qualcosa% e cade in recessione nei momenti di crisi, mentre i rendimenti reali dei titoli di stato italiani sono ancora positivi e ben superiori alla nostra crescita economica. Alla fine è il buon senso che deve prevalere: se spendo i deficit per consumare anziché per investire e produrre ricchezza con cui ripagare i miei debiti, prima o poi il sistema diventa insostenibile. In Italia per anni si è fatto esattamente il contrario, si sono tagliati gli investimenti per tenere sotto controllo una mole di debito generata per finanziare spese correnti improduttive…prima o poi bisogna cambiare il sistema».

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