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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2012 alle ore 17:08.

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Jerome Kerviel, ex trader di Société Générale. (Reuters)Jerome Kerviel, ex trader di Société Générale. (Reuters)

Stessa linea di difesa: accusare. O meglio, puntare il dito contro il top management della società e denunciare le transazioni allo scoperto con elevato profilo di rischio come pratiche comuni all'interno della banca. Dopo la condanna di Jérôme Kerviel, ex trader di Société Générale chiamato a scontare cinque anni di prigione e a risarcire la banca dei 4,9 miliardi di euro per le perdite causate in seguito a transazione scoperte con contratti derivati, e mentre Kweku Adoboli, l'ex trader di Ubs accusato di avere provocato alla banca perdite valutate a 2,3 miliardi di dollari con operazioni non autorizzate, viene condannato a scontare 7 anni in carcere, Mike Rhodes, consulente specializzato in white collar crimes presso SAS (colosso multinazionale che produce software e servizi per l'analisi e l'ottimizzazione dei processi di business), di recente traccia per il Sole24Ore.com un filo rosso tra i numerosi scandali interni che negli ultimi mesi hanno coinvolto le banche d'affari.

«La linea di difesa adottata nei due casi é molto simile», spiega Rhodes. «Gli ex trader hanno spiegato che si trattava di attività comuni all'interno delle banche, e che i superiori tolleravano queste strategie di trading in quanto portavano profitti. In tutti e due i casi la difesa ha indicato le banche come fonte d'origine di questi comportamenti».

Anche se dopo la condanna la banca francese ha continuato a dichiararsi estranea ai fatti, Kerviel, assunto dal gruppo nel 2000, non ha mai chiesto scusa per le sue azioni. L'avvocato David Koubbi al quale Kerviel si era affidato aveva fatto appello alla condanna di primo grado spiegando che i superiori del suo cliente erano a conoscenza del profilo di rischio che aveva adottato.

Storia simile per Ubs. La scorsa settimana, Adoboli è ripetutamente scoppiato a piangere in Tribunale, spiegando che Ubs era la sua famiglia, e tutte le transazioni erano state pensate a beneficio della banca. Oggi è arrivata infine la condanna al carcere, nonostante il trader abbia continuato a ripetere che ogni tipo di transazione non era guidata da cattive intenzioni. Per diversi anni, Adoboli ha rinunciato alla vita privata per occuparsi giorno e notte della gestione dei portafogli che aveva in mano. «Difficile immaginare che il team non fosse a conoscenza della sua attività».

Ma nella lunga lista delle banche vittime di "rogue trades" non ci sono solo Société Générale e Ubs. Uno scandalo simile che ha colpito pochi mesi fa JPMorgan Chase, nota Rhodes, ha evidenziato una differente reazione della banca nel farsi carico delle responsabilità. Lo scorso maggio, JPMorgan aveva dichiarato uno scoperto di 2 miliardi in seguito a transazioni illegali imputate al trader londinese Bruno Michel Iksil. Eppure, nota Rhodes, in quel caso la reazione era stata differente.

L'amministratore delegato Jamie Dimon aveva chiamato in causa il management parlando di errori e cattivo giudizio, e la testa caduta era quella di Ina Drew, responsabile degli investimenti a New York.

Che aveva implementato una strategia «più rischiosa e meno efficace di quanto pensato inizialmente», aveva aggiunto Dimon. In quel caso dunque, le responsabilità erano state ripartite tra il top management. I tre differenti casi suggeriscono dunque due diverse strategie adottate dalle banche per difendere reputazione e integrità. Nel primo caso l'isolamento del trader, nel secondo il licenziamento del "capitano della nave".

Eppure, conclude Rhodes, «l'esempio di JP Morgan suggerisce dove davvero si trova la responsabilità in queste tipologie di scandali. Le banche sono sempre più attente al danno reputazionale oltre che finanziario causato da queste perdite, e quando i buchi raggiungono cifre significative, aumenta il livello dei manager coinvolti», conclude il consulente.

*Reporter di Investment Europe

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