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Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2012 alle ore 12:34.

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(Reuters)(Reuters)

L'Argentina rischia di passare alla storia per essere l'unico Paese ad andare in default due volte in 10 anni. Il fallimento del 2001 sembrava una storia vecchia. Invece, entro il 15 dicembre - stando alla decisione choc del giudice di New York Thomas Griesa - dovrà rimborsare 1,3 miliardi di dollari ai detentori dei tango-bond che hanno rifiutato la ristrutturazione del debito proposta dal governo. A questi si aggiungono cedole indicizzate al Pil in scadenza (sempre il 15 dicembre) che ammontano a circa 3 miliardi e che riguardano invece chi ha aderito allo swap nelle due tranche fissate dal governo di Buenos Aires del 2005 e del 2010.

In sostanza il giudice Usa ha mandato questo messaggio all'Argentina: se pagate gli interessi a coloro che hanno aderito alla ristrutturazione dovete anche rimborsare coloro che non lo hanno fatto, ugualmente detentori di tango-bond. Ma la domanda di fondo è: che intenzione ha l'Argentina e, soprattutto, è in grado di onorare i suoi debiti a 10 anni dal primo default?

La situazione sta precipitando
Secondo gli analisti di Ig «la sensazione è che in Argentina la situazione stia precipitando. A confermare i timori degli investitori vi è il forte aumento delle quotazioni dei Cds (Credit default swaps) a 5 anni sul debito sovrano del Paese sudamericano (ovvero gli strumenti derivati che proteggono dal rischio di default, ndr) saliti a 4200 punti base mentre solamente a fine ottobre venivano scambiati a 1.000 punti base. Prevediamo nei prossimi giorni un aumento del flusso di capitali in uscita che provocherà un aggravamento della crisi finanziaria, un ulteriore rialzo delle tensioni sociali e un probabile taglio del rating sul debito argentino da parte di Moody's e S&P's. Non ci aspettiamo comunque, nel breve periodo (il 15 dicembre) un default tecnico da parte dell'Argentina ma crediamo che si aprirà una lunga battaglia legale».

Vaso di pandora riaperto
A riaprire il caso è stata una querela avanzata da investitori e fondi di investimento statunitensi, tra cui Nml, controllato da Elliott Associates, e Aurelio, che hanno ancora in pancia i vecchi tango-bond e hanno respinto la ristrutturazione proposta dall'Argentina nel 2005 e nel 2010 per applicare una riduzione di circa il 65 per cento del debito, che è stata invece accettata dal 92 per cento dei creditori. Il giudice statunitense Griesa ha dato ragione alle richieste dei fondi speculativi.

Se l'Argentina non rispetterà quanto sentenziato, il Tribunale Usa minaccia di inibire i pagamenti degli interessi ai detentori dei nuovi titoli ristrutturati. A quel punto potrebbe scattare un default tecnico da 24 miliardi di dollari, pari al debito emesso dall'Argentina tra il 2005 e il 2010.

Come se non bastasse, alla decisione del Tribunale di New York ha fatto seguito il taglio di rating dell'agenzia statunitense Fitch che ha declassato il debito di Buenos Aires di cinque gradini in un colpo solo, da "B" a "CC", facendolo quindi scivolare a livello spazzatura e pericolosamente vicino alla "D" di Default. Un downgrade che arriva proprio in ragione delle conseguenze che scatterebbero qualora si riaprisse la voragine sul nuovo debito.

Si profila quindi un dicembre caldo, una guerra aperta tra Stati Uniti e Argentina. Intanto l'amministrazione di Christina Fernandez de Kirchner ha già affermato di volere rivolgersi alla Corte d'Appello e eventualmente alla Corte Suprema per annullare la sanzione imposta. Il Governo deve inoltre affrontare un forte aumento delle tensioni sociali legate all'incremento marcato dell'inflazione.

Tango-bond holders indignati
L'attacco degli Stati Uniti rischia di aprire un vaso di Pandora che si riteneva ormai chiuso per sempre e di scatenare l'ira di chi ha aderito al piano di ristrutturazione. Perché se l'Argentina andasse incontro dopo 10 anni a chi non ha aderito al default "lacrime e sangue", danneggerebbe allo stesso tempo coloro che invece lo hanno fatto rinunciando a una parte corposa del credito. Per questo motivo i detentori di tango bond che hanno aderito allo swap impugnano adesso la sentenza del giudice di New York. A distanza di un decennio, dopo tanta pazienza, sono riusciti a recuperare tra il 60 e l'85% del capitale (partendo dal 30% di valore nominale dopo il taglio e aggiungendo le cedole). Ma adesso, con la situazione che rischia di precipitare, temono di perdere nuovamente quanto faticosamente recuperato dopo anni di pazienza.

Dure le critiche nei confronti dell'Argentina da parte di Vincenzo Somma, responsabile del settore economico-finanziario per Altroconsumo che negli ultimi anni ha seguito da vicino i tango bond: «Paradossalmente gli argentini potrebbero essere anche contenti di questa sentenza. Perché in questo modo potrebbero trovare un motivo per provare a ritardare ulteriormente i pagamenti se non trovano in fretta un istituto di credito disposto a farlo per loro. Quale migliore occasione quindi per ritardare il pagamento?».

twitter.com/vitolops

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