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Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2012 alle ore 20:02.
L'illegalità in azienda diminuisce in tutto il mondo, ma in Italia aumenta il peso della criminalità organizzata. Se nel 2011 tre imprese su quattro a livello globale avevano subito una frode di vario tipo (informatica o fisica), nel 2012 la percentuale di aziende "violate" è scesa al 61%. Anche guardando alla sola Europa le frodi risultano in calo: nel 2012 hanno subito ruberie il 63% delle aziende, contro il 71% del 2011. In Italia, però, si assiste a un fenomeno in controtendenza: la penetrazione sempre più estesa della criminalità organizzata nel mondo industriale e nell'attività creditizia.
Morale: mentre diminuiscono le frodi aziendali in tutto il mondo, in Italia sempre più aziende vengano fagocitate da capitali illegali. È questa la fotografia, per certi versi positiva e per altri drammatica, scattata dall'agenzia di investigazione Kroll Advisory Solutions insieme all'Economist Intelligence Unit nel report annuale sulle frodi aziendali nel mondo. Un'indagine elaborata intervistando un migliaio di imprese in tutto il mondo.
Il caso italiano
Dall'indagine emerge il caso italiano, dove il tessuto imprenditoriale lascia sempre più il posto alla criminalità organizzata. «Per rispettare le leggi anti-riciclaggio e anti-corruzione – scrive nello studio Marianna Vintiadis, contry manager per l'Italia e la Grecia di Kroll – le imprese devono stare bene attente per evitare la penetrazione della criminalità organizzata nel loro business». Purtroppo il fenomeno è già in corso. Una volta le mafie erano concentrate solo su alcuni settori economici (soprattutto nell'edilizia e nello smaltimento dei rifiuti), mentre oggi spaziano dall'attività creditizia alla ristorazione. Con 65 miliardi di euro di liquidità, la criminalità si sta infilando infatti dove la società civile arranca.
Quando le Pmi faticano ad avere credito in banca, riescono spessoa riceverlo dalla criminalità organizzata. Il caso della ristorazione è ancora più eclatante, perché diventa sempre più internazionale: basti pensare – si legge nello studio – che in Germania il clan Romeo-Pelle-Vottari ha 55 ristoranti. «Con la crisi – scrive Vintiadis – la criminalità organizzata ha avuto l'opportunità di penetrare in nuovi settori dell'economia».
Meno frodi nel mondo
A livello mondiale, però, le frodi in azienda diminuiscono. «Questo riflette di certo lo sforzo delle imprese nel fronteggiare questo rischio», osserva Tom Hartley, presidente e ad della Kroll Advisory Solutions. Ovviamente il fenomeno non è da considerarsi risolto: lo dimostrano gli scandali più recenti (dal caso Libor a Londra a quello dei derivati Usa) e lo confermano i dati (il 61% della imprese ha comunque subìto una frode nel 2012). Le più comuni restano quelle fisiche (24%) e quelle informatiche (21%).
Quello che preoccupa, guardando l'indagine Kroll, è la genesi delle frodi: nascono quasi sempre dall'interno delle stesse aziende. Due terzi delle imprese che hanno dichiarato di avere subito un danno da una frode, infatti, hanno dichiarato che l'ideatore era un dipendente interno: si tratta di un aumento consistente, considerando che i dipendenti "infedeli" erano stati il 60% nel 2011 e il 55% nel 2010. «In parte – scrive Hartley – questo riflette la facilità con cui i dipendenti, gli agenti e i rappresentanti delle società hanno accesso ad informazioni aziendali riservate». Ma questo significa anche che gli sforzi anti-frode sono stati indirizzati principalmente all'esterno delle aziende, lasciando troppo scoperto l'interno. Un punto, questo, dove bisogna migliorare. Oltre a quello, veramente dolente, della criminalità organizzata.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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