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Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2013 alle ore 06:40.

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Fare banca e fare prestiti, un tempo sinonimi, stanno diventando due lavori diversi? I segnali in questo senso si moltiplicano, al di qua e al di là dell'oceano. In Europa la profonda trasformazione del business bancario, con tutte le difficoltà che derivano dalle condizioni critiche dell'economia, sta funzionando da motore per il cambiamento del mercato dei capitali.
La progressiva chiusura del rubinetto dei crediti, da un lato, e la necessità di risorse fresche per le imprese dall'altro, avvicinano sempre più l'Europa agli Stati Uniti. I due mercati, fino a ieri lontani per caratteristiche e abitudini, tendono a diventare più simili.
«Il mercato delle obbligazioni corporate è oggi in piena mutazione - spiega Didier Le Menestrel, presidente di Financière de l'Echiquier - in Francia e in Europa e, con i bilanci delle banche che crollano sempre più, recupera gradualmente il ritardo accumulato rispetto a quello statunitense, che finanzia più di due terzi del fabbisogno delle aziende».
Naturalmente la questione è complessa e sarebbe un errore ridurre tutto a una mera questione di buona volontà o di stili manageriali di gestione. Un peso rilevante in queste trasformazioni dello scenario spetta alle regolamentazioni internazionali, che in nome della prudenzialità tendono a diminuire la capacità di erogazione dei singoli istituti. In tempi di crisi, interessi dei depositanti, interessi di sistema e interessi di chi cerca risorse risultano talora in contrasto e la ricerca di un punto di equilibrio può creare qualche scontento.
Va però segnalata un'importante presa d'atto di questa condizione di impasse: nei giorni scorsi è stato raggiunto un accordo tra G27 e Comitato di Basilea per rendere più graduale l'adozione da parte delle banche dei nuovi livelli di riserve minime obbligatorie, con termini temporali spostati al 2019. «Un approccio più realistico», ha commentato il governatore della Banca d'Inghilterra, Mervyn King, con un occhio alle difficoltà della congiuntura.
L'evoluzione dei mercati del credito rappresenta comunque una questione complessa da valutare, per quanto attiene le conseguenze a largo raggio. Tuttavia, dal punto di vista dei risparmiatori con liquidità da impiegare, c'è un aspetto favorevole, almeno da un punto di vista teorico. Se le società che hanno bisogno di risorse fresche - quelle più grandi e conosciute - si rivolgono direttamente al mercato attraverso l'emissione di bond, questo per gli investitori privati significa più possibilità di scelta e maggiori opportunità.
In uno scenario di tassi già bassi e nei prossimi mesi forse ancora più compressi, una crescita del numero e del tipo di emittenti potrebbe offrire una soluzione al dilemma di oggi: chi cerca un rendimento reale (cioè superiore al tasso di inflazione) si trova a dover allungare notevolmente le scadenze, oppure a valicare la frontiera dei bond investment grade, con tutte le conseguenze in termini di rischio che ciò comporta.

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