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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2013 alle ore 12:47.

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Il Fondo monetario internazionale ha indicato senza giri di parole che il mondo delle economie sviluppate viaggia a tre velocità. Da un lato i Paesi emergenti, poi gli Stati Uniti (a galla finora con forti piani di allentamento monetario) e poi c'è l'Europa, che arranca. Arranca ancor di più l'area euro che nel 2013 dovrebbe confermarsi in recessione (-0,3%, Italia -1,5%) frenando la ripresa globale (+3,3%) soprattutto a causa delle incertezze che arrivano da Cipro e dallo stallo politico in Italia (oltre 50 giorni senza governo).

Se l'area euro sta arrancando è anche perché famiglie e imprese, complice il pericolo di una terza ondata del credit crunch, hanno meno fiducia a spendere (consumi) e a investire. Questo, a ruota si ripercuote sul Pil (che da consumi privati e domanda di investimenti di imprese trae circa l'80% del valore complessivo) e sull'inflazione che è un male quando ve n'è troppa ma anche quando non ce n'è o ce n'è troppo poca.

Ne sa qualcosa il Giappone che da 15 anni prova a uscire dalle sabbie mobili della deflazione in cui è cascato nel 1990 quando il sistema bancario ha fatto crac. Giappone che nei giorni scorsi ha annunciato un poderoso piano di quantitative easing attraverso il quale la Bank of Japan acquisterà circa 700 miliardi di dollari in titoli ogni anno (in pratica in 36 mesi immetterà nel sistema liquidità per un ammontare vicino al Pil italiano). Il piano ha l'obiettivo di riportare un minimo di inflazione in Giappone, facendo crescere il costo della vita del 2% innescando nuova fiducia nei consumatori. Di questo, e dei rischi annessi per le altre economie globali della svalutazione competitiva dello yen che questo piano comporta, si parlerà da domani nel corso del G20.

Ma non è da escludere che si parli anche di Europa e dei rischi che anche il Vecchio Continente cada nella deflazione (i prezzi scendono anziché salire) e poi nella trappola della liquidità (i prezzi scendono anziché salire nonostante gli interventi monetari espansivi a disposizione della banca centrale). Anche perché un Paese dell'area euro è già ufficialmente in deflazione: si tratta della Grecia che a marzo ha segnato una decrescita dei prezzi dello 0,2% (su base annua) segnando la prima deflazione dal 1968 (l'anno successivo alla presa del potere della dittatura dei colonnelli).

A che punto siamo quindi? Con un'inflazione aggregata che continua a perdere colpi (a marzo in Europa è scesa all'1,7%, in Italia all'1,6%) c'è davvero il rischio che all'attuale crisi strutturale (che va ormai avanti da cinque anni) si aggiunga anche il pericolo della decrescita dei prezzi? E che arrivi un altro contagio dalla Grecia?

«La deflazione è molto di più di un calo dei prezzi del consumo: è salari, entrate e flussi di credito. È difficile da arginare se le politiche dei tassi sono ancora vicine allo zero - spiega Holger Sandte, analista di Nordea -.La Grecia era già in deflazione prima che arrivasse la notizia di un calo dei prezzi dei consumi. In effetti gran parte dei Paesi del sud Europa mostrano sintomi di deflazione in quanto il credito e i flussi delle entrate si stanno restringendo. Questo spiega perché la Bce pensa a 360 gradi - dalle parole di Mario Draghi - a come supportare i prestiti delle banche al settore corporate in generale e ad imprese di piccole e medie dimensioni in particare. La Bce è consapevole del rischio di deflazione. Solamente non pronuncia la parola perché suona minacciosa».

Giappone ed Europa sono pericolosamente vicini? Sì, secondo Gabriele Roghi di Invest Banca: «Oggi il nostro Paese e l'Europa in generale sono nella stessa situazione del Giappone, popolazione in tendenziale invecchiamento che pensa a conservare e meno a consumare e quindi non alimenta la corsa agli acquisti che è uno degli elementi che causano l'inflazione. Credo che la tendenza deflattiva debba essere cercata nella struttura demografica: il nostro Paese e l'Europa intera sono oggettivamente sulla via giapponese con tutto quello che ne consegue. Il tentativo di innescare inflazione attraverso il credito facile è un estremo tentativo, peraltro in Giappone già nei primi anni 2000 si è provata questa via ma i risultati sono stati chiaramente deludenti. I cattivi maestri degli interventi monetari non convenzionali continuano a provare la stessa soluzione, che nei numerosi tentativi precedenti non ha mai funzionato, aumentando la dose di liquidità, non tenendo conto del semplice ed elementare fatto che "se il cavallo non beve è inutile tenerlo tutto il giorno davanti alla fonte".. o peggio provocare un'alluvione. Gonfiare il debito, pubblico o privato, non fa che rendere la situazione sempre più grave: il Giappone ha un debito pubblico prevalentemente domestico, ma non appena i baby boomers andranno in pensione richiederanno parte di quanto accantonato previdenzialmente ed allora il mercato obbligazionario sarà inevitabilmente sotto pressione: io leggerei la recente decisione della BoJ di comprare enormi quantità di bond in questo senso: se per ragioni demografiche ho una pressione in vendita devo trovare un compratore fittizio che mi tappi questo buco di domanda, altrimenti i rendimenti salgono e con tutto il debito che ho non solo non potrò mai ripagarlo, ma potrei fare default nel breve termine (stesso discorso, solo con qualche sfumatura di diversità per gli Usa). Gli strumenti monetari servono solo a comprare tempo, non a risolvere problemi».

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