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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2013 alle ore 12:47.
Per Laura Tardino, market strategist di Bnp Paribas «Disinflazione si ma non deflazione almeno al momento e a livello aggregato. Ad un'attenta analisi è soprattutto il calo degli energetici ad aver determinato la discesa dell'inflazione complessiva mentre la componente legata ai servizi, ai beni meno volatili in termini di prezzo e agli alimentari è salita o rimasta stabile. Credo inoltre che mentre sia possibile un ulteriore calo per il mese prossimo, mi attendo una leggera ripresa prima della fine dell'anno».
Lo conferma Filippo Diodovich di Ig: «In Europa stiamo assistendo a un periodo di disinflazione, ovvero di una riduzione dell'inflazione legata soprattutto alla flessione dei consumi/investimenti dei privati. Solamente in Grecia si può parlare di deflazione che continuerà anche nei prossimi anni. La Bce continuerà a monitorare attentamente l'andamento dei prezzi e un eventuale ulteriore riduzione del tasso d'inflazione corrente e soprattutto di quello atteso nel medio termine (2013/2014) potrebbe spingere l'istituto di Francoforte a intervenire con un possibile taglio del costo del denaro o iniezioni di liquidità. L'immobilismo della Bceche si è assistito nella recente guerra valutaria contro yen, dollaro e sterlina potrebbe proprio essere interrotto da forti pressioni ribassiste sui prezzi. Il recente crollo delle quotazioni delle materie prime potrebbe quindi portare ulteriori pressioni sul tasso d'inflazione ma continuiamo a ritenere che almeno per il momento le aspettative sull'andamento dei prezzi nel medio lungo termine rimangono ancorate al target della Bce (inflazione intorno al 2%, ndr)».
A parer di Edoardo Chiozzi Millelire, responsabile per l'Italia di Convictions Am «ufficialmente l'Europa ancora non è in deflazione, grazie anche all'aumento dei prezzi amministrati, Iva in primis, scattati un po' ovunque come conseguenza delle politiche di riduzione dei debiti pubblici. Bisogna dire che in un regime di cambi fissi come la zona euro i paesi (come l'Italia) che hanno perso competitività sono obbligati a recuperarla attraverso le "svalutazioni interne" - spiega -. Ciò significa in soldoni da un lato abbassare il costo del lavoro, e in tutti i paesi in crisi ci sono forti pressioni per abbassare il cuneo fiscale e per creare accordi tra le parti sociali per aumentare la produttività, dall'altro aumentare l'Iva che, oltre a reperire risorse preziose per diminuire i deficit, permette ridurre i consumi e indirettamente le importazioni e di creare un po' d'inflazione per aiutare nello sforzo di riduzione del debito e contrastare le forze deflattive inevitabili in una fase di contrazione della domanda. Per questo è importante che le banche centrali accompagnino questo processo lungo e difficile di riduzione dei debiti con politiche monetarie il più accomodanti possibile».
Secondo Chris Iggo, chief investment officer di Axa investment managers, «in linea
generale la deflazione favorisce i creditori poiché tende a far aumentare i rendimenti, mentre l'inflazione favorisce i debitori poiché riduce il valore reale delle passività future. Gli ultimi eventi in Giappone potrebbero segnare il passaggio da un regime all altro. E noto che il Giappone sta attraversando già da diversi anni una fase di deflazione e questo ha avuto un influenza rilevante sullo sviluppo del mercato obbligazionario in yen. Se il recente cambiamento della politica monetaria sarà permanente, allora il Paese del Sol Levante potrebbe tracciare la via di come le obbligazioni possano essere influenzate da un regime deflattivo o da uno inflattivo. L'Europa dovrebbe prendere esempio. Per come stanno andando le cose, l'Europa ha imboccato la strada della deflazione, in quanto la riduzione della leva e l'irrigidimento fiscale continuano a dominare lo scenario macroeconomico. Gli investitori che detengono obbligazioni europee si chiedono se la deflazione avrà un influenza positiva sui rendimenti o se segnerà la fine dell unione monetaria».
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