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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2013 alle ore 13:01.

Con trading ad alta frequenza possibili manipolazioni dei prezzi
La crescente diffusione del trading ad alta frequenza (High frequency trading) - modalità operativa basata su algoritmi che consentono di acquisire, elaborare e reagire alle informazioni di mercato con una velocità elevata - può amplificare l'impatto sistemico di shock e influire negativamente sull'integrità e la qualità del mercato (efficienza formativa dei prezzi, volatilità e liquidità). La relazione Consob per l'anno 2012, riferendosi al dibattito in corso tra le autorità di vigilanza europee e a livello accademico, spiega che la diffusione dell'Hft sui mercati finanziari (nei principali paesi europei la quota di scambi riconducibili a tali operatori oscilla tra il 10 e il 40%) «potrebbe compromettere il corretto processo di formazione dei prezzi», anche perché il grado di partecipazione degli Htf alle negoziazioni «incide sulla volatilità degli strumenti finanziari coinvolti, con il rischio di amplificare eventuali movimenti anomali dei prezzi».

In merito all'impatto sulla liquidità, si legge nella relazione, l'esperienza operativa evidenzia che «in condizioni di particolare turbolenza gli Htf possono determinare un assorbimento di liquidità». Il trading ad alta frequenza può incidere sull'equo accesso al mercato poiché tali tecnologie non sono accessibili a tutti, scoraggiando la partecipazione al mercato degli investitori tradizionali. Inoltre, vi è «il rischio che attraverso tale pratica si possano mettere in atto strategie potenzialmente manipolative dei prezzi».

L'85% degli scambi avviene ancora su mercati regolamentati
In Italia l'85% delle negoziazioni avviene ancora sui mercati regolamentati, quota che per Regno Unito, Francia e Germania scende a circa il 60% del totale (dati a gennaio 2013). Dopo Borsa italiana, la piattaforma più importante per lo scambio di azioni italiane è Bats – Chi X Europe. Dalla relazione Consob per l'anno 2012, emerge che a Piazza Affari lo scorso anno si è verificata una netta contrazione del controvalore delle negoziazioni su titoli azionari delle società domestiche, dai 706 miliardi del 2011 a 504 miliardi di euro (-28,6%). Ancora in flessione la raccolta di capitale di rischio, inferiore alle risorse restituite agli azionisti tramite dividendi, opa e buy buck: sono stati emessi nuovi titoli per 10 miliardi (in diminuzione di 2,4 mld dal 2011), mentre sono stati distribuiti dividendi per 16 miliardi (17,6 nel 2011). Complessivamente, dal 2007 sono stati raccolti presso gli azionisti circa 60 miliardi tra aumenti di capitale e offerte di sottoscrizione, i dividendi distribuiti sono stati 134 miliardi, gli esborsi per opa e buy back rispettivamente 16 e 9 miliardi.

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