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Questo articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2013 alle ore 12:36.

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Alzi la mano chi non crede che la Germania non abbia in questo momento l'industria più efficiente d'Europa, capace di imprimere ai propri prodotti un alto livello qualitativo e tecnologico. Chi non crede che non sia un modello economico per l'Europa. Ma la grande domanda del momento è: questo modello è talmente forte da permettere all'economia tedesca di camminare con la propria valuta? Ovvero: in un'ipotetica disgregazione dell'area euro e nel caso in cui i 17 Paesi che oggi condividono il cambio rigido di una valuta straniera (l'euro appunto) tornino alle rispettive monete cosa accadrebbe al marco e alla virtuosa Germania?

La domanda nasce in un momento in cui l'economia tedesca è l'unica tra le big dell'area euro che è riuscita per ora a non cadere nelle grinfie della recessione (nel I trimestre del 2013 il Pil è cresciuto dello 0,1% contro il -0,2% francese e il -0,5% stimato in Italia). E nasce in un momento in cui balza agli occhi di tutti l'evidenza che in questa crisi l'unica strada che i Paesi, da Oriente ad Occidente, stanno percorrendo per risollevarsi è quella della svalutazione competitiva. Lo dimostra la manovra ultraespansionistica lanciata dal Giappone ad aprile (iniezione di liquidità pari a 700 miliardi di dollari l'anno) che segue al quantitative easing americano che ormai procede ininterrotto dal 2009 e viaggia al ritmo di 85 miliardi di dollari al mese. Gli effetti su dollaro e yen si vedono.

E nell'area euro, a conti fatti, l'unico Paese che sta effettuando una svalutazione competitiva (che i babyboomers italiani conoscono molto bene) è la Germania mentre le economie dei Paesi periferici sono costrette ad assistere impotenti alla rivalutazione del proprio cambio non avendo peraltro armi per partecipare al "gioco della svalutazione" che vede in prima fila, come visto Usa e Giappone con le rispettive valute e la Germania per il tramite di un euro molto più debole del "marco che sarebbe".

Che la Germania stia svalutando il "vecchio marco" con l'euro lo dimostrano proprio le proiezioni sull'andamento del marco qualora tornasse ad essere la valuta tedesca. «Data l'impostazione della Bundesbank, ossessionata dall'inflazione, in un contesto globale di allentamento monetario senza precedenti credo che il nuovo marco potrebbe anche arrivare a rivalutarsi fino al 50% su euro, dollaro Usa e yen - spiega Tommaso Federici, responsabile area gestioni di Banca Ifigest. Non mi stupirebbe che poi fosse costretta come ha fatto la Svizzera a fissare il proprio cambio col "vecchio" euro o peggio ancora con il dollaro per arginare l'inflazione importata».

La rivalutazione del marco non sarebbe legata solo al differenziale di inflazione maturato con i Paesi periferici in questi 13 anni e mezzo di euro (circa il 10%) ma a quel punto potrebbero giocare altre leve. «Se si dovesse tornare al marco tedesco, probabilmente si assisterebbe a una rivalutazione molto veloce della valuta tedesca rispetto all'euro, rivalutazione non solo dettata dai fondamentali macroeconomici che andrebbero a premiare l'industria tedesca ma anche dai flussi di capitale che andrebbero a veicolarsi sulla nuova divisa», argomenta Matteo Paganini, chief analyst di Fxcm Italia.

Secondo Andrea Ragaini, ad di Banca Cesare Ponti «se la Germania fosse costretta ad abbandonare l'euro, la rivalutazione – chiaramente non competitiva - del marco tedesco sarebbe ben superiore al 10% e genererebbe un'inevitabile forte contrazione dell'economia tedesca - spiega -. L'effetto verrebbe alimentato anche da una conseguente maggiore competitività dei beni e dei servizi prodotti nei paesi del sud Europa, Italia in primis, che, presumibilmente, avrebbero invece una svalutazione competitiva delle loro valute. Uno studio realizzato qualche mese fa, stimava in circa il 30% del Pil il costo di uscita della Germania dall'euro. Molto meglio quindi per l'establishement tedesco trovare dei compromessi condivisi e stemperare le posizioni più ortodosse talvolta presenti nelle varie anime del Paese, per evitare la catastrofe economica che causerebbe un ritorno al prestigioso ma assai pesante marco tedesco».

Già, la bilancia dei pagamenti. «Il forte surplus commerciale della Germania nei confronti dei paesi di Eurolandia, pari a 13,5 miliardi di euro solo nel primo trimestre 2013, diventerebbe un marcato disavanzo, avendo pesanti ripercussioni negative sul Pil fortemente trainato dalla domanda esterna», sottlinea Filippo Diodovich, analista di Ig.

In sostanza, qualora il vantaggio valutario di cui oggi beneficia la Germania (svalutazione competitiva effettuata attraverso l'euro) dovesse saltare l'efficienza tecnologica tedesca e la migliore competitività del fattore lavoro riuscirebbero a porre un argine?

Secondo la maggior parte degli analisti italiani ma anche degli stessi analisti stranieri no. Come spiega il tedesco Johannes Mueller, capo economista di Deutsche asset wealth management «Un'uscita della Germania dall'euro ferirebbe enormemente la parte della nostra economia orientata all'export, perché si può immaginare che il nuovo Marco non si apprezzerebbe solo nei confronti del resto dell'Eurozona, ma anche nei confronti del Dollaro, della Sterlina, e al giorno d'oggi soprattutto dello Yen. Abbiamo già sentito alcune lamentele, silenziose per la verità, circa la svalutazione dello Yen rispetto all'Euro. Figuriamoci le conseguenze di un nuovo Marco, che provocherebbe una massiccia perdita di competitività e una grave recessione nel Paese».

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