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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2013 alle ore 11:53.

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La Corte dei Conti ha riacceso un faro sull'uso degli strumenti derivati da parte della pubblica amministrazione, per accertarsi che le operazioni poste in essere perseguano l'obiettivo di proteggere i conti pubblici contro i rischi di mercato. La magistratura contabile, in vista del giudizio annuale sui conti previsto per domani, ha chiesto al Tesoro un chiarimento in merito alla rimodulazione e ristrutturazione di alcuni strumenti derivati sui tassi di interesse e di cambio avvenuta nel primo semestre 2012: i dettagli di queste operazioni erano già emersi nella relazione semestrale che puntualmente il Mef invia alla Corte. Il Tesoro ha fornito di recente ulteriori informazioni a questo riguardo, in vista del parere di routine che i magistrati contabili daranno domani sulla gestione del debito pubblico.

Gli strumenti derivati stipulati dalla Repubblica italiana «a copertura del debito» hanno un valore nozionale complessivo pari a circa 160 miliardi di euro a fronte di titoli in circolazione, al 31 gennaio 2012, per 1.624 miliardi. Il portafoglio degli swap del Tesoro, dunque, ammonta a poco meno del 10% dei titoli di Stato in essere. Il valore nozionale (il valore della posizione di debito sottostante al derivato) pari a 160 miliardi è suddiviso in circa 100 miliardi di interest rate swap, 36 miliardi di cross currency swap (sulle valute), 20 swaption e 3,5 miliardi di swap ex Ispa (Infrastrutture spa). Nel dettaglio, i 36 miliardi di swap sulle divise corrispondono «alla quasi totalità» dei bond emessi dal Tesoro nel corso degli anni in valuta estera (in passato gli Italy bond sono stati denominati spesso in dollari Usa, franchi svizzeri, sterline e yen).

Stando a quanto pare emergere nell'ultima relazione semestrale inviata dal Tesoro alla Corte dei Conti, una parte del portafoglio derivati - 31 miliardi circa di valore nozionale su un totalle di 160 - sarebbe stata rimodulata, per soddisfare in parte esigenze di portafoglio delle banche controparti. Il mark-to-market dei derivati delMef, che sono stati fatti come protezione contro le oscillazioni dei tassi d'interesse e di cambio, riflette il valore di mercato delle posizioni in base ai tassi odierni proiettati sul futuro: nel caso di mark-to-market negativo, se il derivato venisse chiuso oggi, la controparte banca riceverebbe dal Tesoro il pagamento dei flussi futuri in base ai tassi attuali.

Senza chiusura anticipata del contratto derivato con mark-to-market negativo, il
pagamento (chiamato anche "perdita potenziale") non viene effettuato: quindi non c'è alcun impatto, alcuna perdita sui conti pubblici perchè i derivati restano in essere. Per stabilire nel concreto una perdita effettiva, tuttavia, non bisogna soltanto valutare l'andamento del contratto derivato ma bisogna tempo stesso tener conto della posizione di debito sottostante alla quale il derivato viene agganciato. L'impatto dei derivati in essere sui titoli di Stato, con un valore nozionale di 160 miliardi su circa 1.600 miliardi di titoli in circolazione, è comunque minimo. E per ora non si può parlare di perdite.

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