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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2013 alle ore 12:05.

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La filosofia di fondo dell'operatività in derivati
Come seconda precisazione il ministero sottolinea che la filosofia di fondo dell'operatività in derivati della Repubblica si basa su criteri ispirati al perseguimento dell'interesse dello Stato, mirando alla protezione dai rischi di mercato, primi fra tutti il rischio di cambio e il rischio di tasso di interesse. Con riferimento in particolare a quest'ultimo, «l'attività in derivati è stata mirata a conseguire l'allungamento della duration complessiva del debito, al fine di proteggere da un eventuale rialzo dei tassi, pagando tasso fisso e ricevendo variabile. Tale funzione prettamente assicurativa è stata perseguita attraverso Irs (interest rate swap) e opzioni su tassi di interesse (swaption), fissando tassi a lungo termine che, al momento della sottoscrizione, risultavano storicamente ai minimi per la scadenza cui si riferivano». Bloccare attraverso derivati un tasso fisso "a pagare" in contropartita di un tasso variabile "a ricevere", spiega il Tesoro, «rappresenta una protezione verso futuri shock sui tassi di interesse, situazione peraltro sperimentata dallo Stato italiano a più riprese e con un'evidenza particolarmente significativa a seguito della grave crisi monetaria e finanziaria del 1992. Infatti, se in simili frangenti si devono emettere titoli a breve termine, il rischio di aumento del tasso pagato sul debito all'atto del rinnovo dei titoli in scadenza viene neutralizzato, per la parte coperta, dalla gamba "a ricevere" dello swap (a tasso variabile) ed il costo effettivo viene limitato al corrispettivo tasso fisso "a pagare" nello swap. Come ogni assicurazione, peraltro, ove l'evento verso il quale ci si protegge non si verifichi, si sopporta un costo, che rimane tuttavia giustificato dalla priorità attribuita alla prevenzione di gravi conseguenze in caso di scenari avversi». Il Tesoro precisa che il valore di mercato degli strumenti derivati in uno specifico momento, il cosiddetto mark to market, «non è in nessun caso assimilabile a una perdita realizzata. Esclusivamente in presenza di specifiche clausole le controparti possono reciprocamente esigerne la corresponsione secondo le modalità previste nei contratti».

Priva di fondamento la notizia che l'Italia abbia utilizzato i derivati per l'entrata nell'euro
È assolutamente priva di ogni fondamento l'ipotesi che la Repubblica Italiana abbia utilizzato i derivati alla fine degli anni Novanta per creare le condizioni richieste per l'entrata nell'euro. Le operazioni poste in essere all'epoca sono state sempre registrate correttamente secondo una prassi consolidata, nel rispetto dei principi contabili sia nazionali che europei. I controlli effettuati sistematicamente dall'Eurostat a far tempo dalla seconda metà degli anni Novanta, anche quelli conseguenti all'introduzione in più fasi di nuove linee guida sugli strumenti finanziari derivati, hanno sempre confermato la regolarità della contabilizzazione di queste operazioni.

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