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Questo articolo è stato pubblicato il 13 luglio 2013 alle ore 08:40.
Finanziare l'economia rende. Non è una formula matematica, ma l'empirica osservazione del differente andamento degli istituti di credito, sulle due sponde dell'Atlantico, così come evidenziato dall'ultima analisi sulle maggiori banche internazionali curata da R&S-Mediobanca. Lo studio, condotto sugli ultimi dati di bilancio 2012, rileva che lo stato patrimoniale delle grandi banche europee e americane si è ridotto di circa il 2%. Ma ad analoga variazione corrispondono dinamiche differenti.
I big del Vecchio continente hanno reagito al clima di incertezza con la tendenza a frenare sui prestiti per concentrare le risorse in liquidità e titoli. Tutte le voci dell'attivo, infatti, si riducono con l'eccezione del portafoglio titoli che cresce del 3,3% e soprattutto della cassa che aumenta del 27,8%: la liquidità di fatto è raddoppiata in un biennio, passando dai 558 miliardi del 2010 ai 1.050 miliardi del 2012. Per contro i finanziamenti alla clientela nel 2012 sono calati dell'1,7% e i finanziamenti interbancari del 7,8%. Anche le banche Usa hanno aumentato la consistenza del portafoglio titoli del 7,2%, ma contemporaneamente hanno finanziato la clientela – che significa nella realtà americana sopratuttto le famiglie – con una crescita del 4,1% degli impieghi.
Oltretutto, le banche europee dalla clientela hanno ottenuto un contributo importante – una crescita dei depositi dell'1,5% (unica voce in rialzo del passivo) – che si è rivelato essenziale per compensare la caduta della raccolta obbligazionaria. Nel biennio il canale mercato si è prosciugato, infatti, di 600 miliardi, a fronte di depositi che sono aumentati di 400 miliardi. Nel solo 2012 anche le banche Usa hanno accusato un calo della raccolta in bond: -16,8%, vale a dire 200 miliardi di dollari in meno. Ma qui l'incremento dei depositi (+7,8%) è stato proprio decisivo, con un afflusso doppio, di 400 miliardi.
Sulla redditività non c'è confronto. I big del credito Usa vantano un Roe del 7,5%, in miglioramento negli ultimi anni, mentre le grandi banche europee languono all'1,8%, con trend opposto. È questo anche il riflesso di una politica di pulizia crediti più aggressiva e tempestiva negli Usa, tant'è che nel 2012 il tasso di svalutazione dei crediti dubbi si è attestato all'8,4% dei ricavi, cioè ai livelli medi pre-crisi degli anni tra il 2002 e il 2007. Nel 2012 le banche europee hanno invece svalutato crediti per il 19,5% dei ricavi, livelli inferiori solo a quelli del 2008 e del 2009.
Anche sul versante della leva (totale dell'attivo tangibile/capitale netto tangibile) le americane sono messe meglio delle europee: 19,7 volte il rapporto contro 26. Togliendo i derivati il quadro non cambia: 13 contro 20,2. Un'ulteriore elaborazione – sottraendo cioè i capitali pubblici dalla formula – riconferma il divario. Oltretutto, a stare agli ultimi dati disponibili (che sono quelli del 2011), le banche Usa avevano già rimborsato il 75% degli aiuti statali, le europee solo il 33%.
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