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Questo articolo è stato pubblicato il 17 luglio 2013 alle ore 13:01.

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Salvatore Ligresti 1989 (Fotogramma)Salvatore Ligresti 1989 (Fotogramma)

L'impero della galassia Ligresti, costruito sul mattone e proliferato con l'ingresso nel mondo delle assicurazioni, si sgretola sotto i colpi delle inchieste giudiziarie. Prima il faro acceso sui trust che controllavano un 20% di Premafin e riconducibili, per l'accusa, a Salvatore Ligresti, poi la lente sui conti del gruppo Fondiaria Sai, quindi i legami con Mediobanca nell'ambito del piano di ristrutturazione targato Unipol. Tre filoni che hanno smontato un patrimonio cresciuto di pari passo con il peso che la famiglia si è ritagliata all'interno dei salotti buoni della finanza italiana.

L'ascesa dell'Ingegnere parte dai terreni. Il primo affare lo chiude a Milano partendo dall'acquisto di un lotto, pagato 15 milioni di cui 10 a debito, che gli permise di ricavare un guadagno netto di 35 milioni. Da lì iniziò a costruire la sua fortuna che cominciò a diventare impero con lo "scippo" del primo pacchetto di azioni Sai. Gli inizi furono accompagnati da sponsor del calibro di Virgillito, Ursini e Antonino La Russa (padre di Ignazio), personaggi chiave della Borsa e degli affari finanziari negli anni 60-70. Una storia, peraltro, che si incrocia con vicende personali altrettanto controverse (il rapimento della moglie e le indagini per mafia) e con una classe politica, Bettino Craxi in primis, che ha segnato un'era dell'Italia.

E proprio all'interno di quel quadro, maturò la prima caduta di Ligresti. A tarscinarlo alla ribalta mediatica, ma con implicazioni giudiziarie, fu lo scandalo delle aree d'oro di Milano: si scoprì, infatti, che due terzi degli appalti della città a metà degli anni'80 erano in mano sua. Quell'episodio portò al primo salvataggio dell'Ingegnere e fu Mediobanca sedere in regia con la spregiudicata quotazione in Borsa della sua holding (Premafin). Nasce qui il rapporto di fedeltà-fiducia con Enrico Cuccia di cui Ligresti diventa la longa manus in buona parte dei salotti buoni del Paese. Veniva infatti chiamato "mister 5%" perché aveva rastrellato piccole quote in tutte le società chiave dell'Italia di allora: Pirelli, Hdp, Gemina e Mediobanca stessa.

Una rinasciata alla quale fa seguito un'altra repentina caduta. Viene coinvolto in pieno dalla vicenda Tangentopoli ed è costretto a 110 giorni di carcere per le tangenti Eni e per la metropolitana milanese. Se la caverà comunque con una condanna soft (due anni di servizio alla Caritas) ma dovrà abbandonare tutte le cariche nelle società che controlla. Qui è il debutto della figlia Jonella, allora appena 23enne, al vertice del gruppo. Un gruppo che, nonostante tutto, si consolida e ramifica fino ad arrivare alla controversa mancata Opa su Fondiaria.

È il 2002, morto Cuccia e con Maranghi al timone, Mediobanca è in pieno scontro con la Fiat. Piazzetta Cuccia vuole la Fondiaria che rischia di passare al Lingotto a valle dell'Opa che Torino ha lanciato su Montedison. Maranghi decide allora di far scendere in campo Ligresti che rastrella in Borsa un rotondo pacchetto di azioni Fondiaria e si candida a salire a un passo dal 30% del gruppo. Ma Consob interviene e obbliga Ligresti all'Opa sulla compagnia fiorentina. Con un escamotage, grazie a una cordata di cavalieri bianchi dei quali fa parte anche Francesco Micheli, Ligresti riesce a evitare l'offerta e crea Fondiaria-Sai. L'operazione è contestatissima, uno scandalo per il libero mercato ma è fatta.

Da lì l'ascesa vera che però si conclude con un tonfo dal quale l'Ingegnere rischia di non risolleversi. FonSai, quotata in Borsa e con migliaia di piccoli azionisti, per la famiglia diventa il pollo da spennare. L'intera dinastia, in primis quei tre figli mai all'altezza del padre e concentrati su cavalli, borse e golf, secondo l'accusa avrebbero depredato con l'aiuto di manager fedelissimi e compiacenti il gruppo assicurativo. Solo tra il 2008 e il 2011 si contano operazioni per oltre 400 milioni con cui la famiglia si sarebbe arricchita a danno della compagnia. Ed è qui però che matura la rottura con Mediobanca. Piazzetta Cuccia con Alberto Nagel e Renato Pagliaro al timone, si mette in regia per il cambio "pilotato" del controllo. È la fine del 2011: il legame si spezza e FonSai passa a Unipol. Ma sul tavolo della procura di Milano arriva il famoso papello: una sorta di patto segreto custodito in una cassaforte tra Nagel e Ligresti dove il primo si impegna a fare in modo che Unipol riconosca a tutta la famiglia una lunga lista di privilegi e vitalizi, tra le quali vacanze gratis al Tanka Village. Nel mentre il patrimonio si sfalda, le cassaforti dell'Ingegnere vanno verso il fallimento e lui è fuori dai giochi ed ora è ai domiciliari. Ma solo poco tempo fa assicurava: di questa storia non è ancora stato raccontato nulla.

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