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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2013 alle ore 14:27.

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Un canale alternativo al credito per rilanciare l'industria italiana in cerca di un mercato «mirato»

«Sarà una riforma strutturale, che alla fine cambierà il sistema industriale italiano», sostiene Federico Merola, partner del Fondo Impresa Italia. «Siamo all'inizio di una nuova fase. Tra 15 o 20 anni ci sarà un sistema finanziario nuovo, in grado di cambiare anche il mondo delle imprese», gli fa eco Fabio Gallia, amministratore delegato di Bnl.

Molti addetti ai lavori hanno questa opinione: l'Italia è alla vigilia di una grande rivoluzione del credito, che spezzi piano piano quel cordone ombelicale tra le aziende e le banche che ora sta strozzando il made in Italy. Ancora nulla è iniziato. Ma tanti indizi dimostrano che qualcosa questa volta si sta veramente muovendo.
Alcune riforme normative già realizzate e altre in agenda dovrebbero innanzitutto agevolare le emissioni di bond da parte delle imprese più piccole: questo aprirà loro la possibilità di finanziarsi più sul mercato e meno in banca. E vari investitori (banche come Bnl, Popolare di Vicenza e Mps o società di gestione come Riello, Ver Capital o River Rock) si stanno già attrezzando per creare fondi ad hoc che investano proprio nei mini-bond. Certo, si tratta ancora di iniziative sporadiche. Molte di matrice bancaria (il che porta con sé un evidente conflitto d'interessi). Con molti «se» e troppi «ma». Però nel sottobosco della finanza, dietro le quinte, la rivoluzione del credito sta partendo davvero.
Dai minibond ai fondi
L'uovo di Colombo, che ha reso possibile la creazione di un'alternativa vera per le imprese rispetto al finanziamento bancario, è stato il Decreto Sviluppo varato dal Governo Monti. Fino a quel decreto, per tutte le imprese non quotate in Borsa (cioè tutte tranne circa 300 in Italia) era praticamente impossibile emettere prestiti obbligazionari sul mercato: gli handicap fiscali e normativi erano quasi insormontabili. Questo le costringeva ad avere solo la banca come fonte di finanziamento. E infatti, secondo i dati di S&P, le imprese italiane reperiscono tutt'ora il 92% dei finanziamenti in banca e solo l'8% sul mercato obbligazionario.
Questo è dovuto al fatto che la maggior parte delle imprese non è quotata in Borsa, e dunque fino a pochi mesi fa non poteva emettere bond. Ma soprattutto è legato la fatto che in Italia le aziende sono piccole: secondo i dati presentati da Andrea Crovetto in una recente audizione in Parlamento, 89.800 imprese in Italia hanno un fatturato tra i 2 e i 10 milioni di euro, 22.300 tra i 10 e i 50 milioni e poche migliaia hanno ricavi superiori. Imprese così piccole non possono ovviamente emettere bond da 100 o 200 milioni, che rappresentano la stazza minima in Europa. L'unico modo per dare loro accesso al mercato, è di creare un mercato nuovo di mini-bond. Ed è proprio quello che sta accadendo ora.

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