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Questo articolo è stato pubblicato il 11 settembre 2013 alle ore 06:52.

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Luigi Gubitosi è soddisfatto perchè, a un anno dal suo insediamento alla direzione generale della Rai, ha chiuso il primo trimestre in utile. Anzi, se non ci fossero stati gli oneri di ristrutturazione da spesare, anche l'intero semestre sarebbe già stato in attivo. Intanto è il risultato operativo, 28,6 milioni a giugno, che ha cancellato il segno meno (lo scorso anno, nello stesso periodo, era a -115,2 milioni). Tutti segnali che indicano che la cura sta funzionando e che gli obiettivi del piano, che prevedono un risultato operativo positivo quest'anno e il pareggio di bilancio il prossimo, saranno rispettati. L'equilibrio nei conti non è cosa da poco si pensa che dal 2007, con l'eccezione di un frazionale utile nel 2011, la Rai ha sempre chiuso i bilanci in profondo rosso.
«Stiamo viaggiando al di sopra del budget - sottolinea il dg dell'emittente pubblica - e settembre è iniziato bene anche sul versante pubblicitario. Riscontriamo segnali di ripresa che sono frutto anche dei cambiamenti organizzativi attuati in Sipra». Nella concessionaria della Rai è arrivato infatti dalla primavera, proveniente da Sky, Fabrizio Piscopo. Nel semestre la quota di mercato della Rai è cresciuta dello 0,4%, quella del più diretto concorrente, Mediaset, è scesa dello 0,6%.
Ma in generale la nuova gestione ha rimesso mano all'architettura complessiva dell'organigramma del gruppo, che dal 2004 non aveva più un direttore finanziario: la carica di cfo oggi è occupata da Camillo Rossotto, che si è fatto le ossa in Fiat. La ricetta di Gubitosi che viene dal privato - direttore finanziario Fiat, ad di Wind, senior banker di Merrill Lynch - alla fine è semplice: trasformare la Rai in una «media company», fornitrice di contenuti e con tecnologia all'avanguardia, ma gestita come un'azienda "normale", pur con i connotati di un gruppo che trova la sua essenza nel servizio pubblico.
Nella pratica questo si traduce anzitutto nello sposare i necessari interventi sugli sprechi (per esempio le auto blu sono scese da 120 a 15) con le esigenze di sviluppo in un settore in piena trasformazione. «Non si può vivere solo di tagli ai costi: se non investe l'azienda non cresce», sottolinea Gubitosi. «Ma negli ultimi anni la Rai ha reagito alla crisi riducendo gli investimenti, anzichè affrontare il nodo dei costi strutturali - osserva -. Nel piano attuale abbiamo previsto invece 600 uscite di personale per pensionamenti, iniziate a fine giugno, già tutte concordate con i sindacati». A regime, si tratta di 70-80 milioni di risparmi su una voce di costo che a fine 2012 assorbiva oltre il 40% del fatturato contro, per esempio, il 17% di Mediaset. Gli interventi non sono stati però concentrati solo sull'organico: sono stati aperti 12 cantieri permanenti per presidiare i centri di spesa più importanti. Per esempio, i costi di trasferta sono stati limati del 10%, i costi esterni di produzione del 20% (sono 140 milioni in meno). E i tagli hanno permesso di ridimensionare il passivo semestrale a 3,2 milioni dai 129 milioni della prima metà del 2012, nonostante il calo dei ricavi di 50 milioni, dovuto alla generale contrazione del mercato pubblicitario.
Ciononostante, in parallelo, sono stati stanziati maggiori investimenti per rafforzare fiction e cinema e per promuovere l'ammodernamento tecnologico. «Basti pensare che gli investimenti in tecnologia erano dell'ordine dei 25 milioni all'anno, mentre ora nel piano prevediamo una spesa di 185 milioni nel triennio». «E abbiamo investito nella digitalizzazione (su questo fronte il gruppo era l'ultimo tra i grandi operatori europei): dalla primavera tutti i tg saranno digitali e ora stiamo inserendo il digitale terrestre anche nella radio», ci tiene a sottolineare il dg che ricorda la rinnovata attenzione per l'internazionalizzazione. «Stiamo riaprendo le sedi estere, a cominciare da Rio, e ora stiamo valutando Washington e Istanbul. E poi stiamo rilanciando le trasmissioni per l'estero».
«La tv - osserva Gubitosi - sta diventando sempre più interattiva e va "brandizzata": in Italia, con 93 canali gratuiti, c'è una notevole frammentazione dell'offerta». Cambiare e rafforzarsi è un must. Sui contenuti si punta non solo sull'informazione del servizio pubblico- il Tg1 ha staccato di otto punti di share il Tg5 -, ma anche sull'intrattenimento e in particolare sullo sport. A riguardo Gubitosi ricorda che sono stati riacquistati da Sky i diritti tv per le Olimpiadi, pagando 60 milioni (parte in pubblicità), quando l'emittente di Murdoch ne aveva spesi 160 per aggiudicarseli. E poi, chissà, forse ad allietare le serate arriverà anche Maurizio Crozza. «È un grande professionista, che stimo molto - dice Gubitosi - Farebbe bene da noi, ma al momento è legato a La 7».
Tanto fermento però, nell'immediato, ha un costo. Il debito infatti è destinato a salire a 500-600 milioni per fine anno. «Abbiamo dovuto pagare tre anni di arretrati sul rinnovo del contratto, spesare gli incentivi all'uscita e il Tfr - ricorda Gubitosi - ma erano operazioni essenziali per decongestionare l'impresa e farla ripartire». «Dall'anno prossimo però - assicura - il debito comincerà a essere riassorbito».
In passato il debito non era un grosso problema per la Rai, che ancora nel 2010 vantava un rapporto tra capitale netto e debiti finanziari notevolmente migliore di quello di Mediaset (3,5 volte contro 1,9), mentre lo scorso anno la situazione si è ribaltata (0,8 l'emittente pubblica e 1,5 il Biscione), risultato della continua erosione provocata dai deficit di bilancio. Ma Gubitosi fa notare che il patrimonio della Rai è sottovalutato perchè gli immobili sono in carico a valori storici molto bassi. Per esempio la sede di via Mazzini - 30 mila metri quadri nel pieno centro di Roma - è iscritta in bilancio a soli 8,5 milioni. Anche gli immobili strumentali, infatti, sono entrati sotto la lente della spending review, per valutarne un utilizzo più efficiente, ma viale Mazzini, dalla quale la Rai dovrà allontanarsi per la bonifica dell'amianto, «resterà comunque sempre la nostra sede», precisa il direttore generale.

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