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Questo articolo è stato pubblicato il 27 ottobre 2013 alle ore 16:32.
L'ultima modifica è del 28 ottobre 2013 alle ore 16:24.

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Con la messa in amministrazione straordinaria di Banca Marche di venerdì scorso, salgono a 12 le banche italiane sotto la tutela della Vigilanza di Via Nazionale. Un plotone di piccoli e medi istituti le cui fila si sono ingrossate a dismisura proprio quest'anno. Dall'inizio del 2013 sono ben 8 gli istituti commissariati. Erano solo 4 a fine del 2012. Un'escalation che ha a che fare certamente con la recrudescanza della crisi economica che da un lustro tiene in scacco il Paese.

Le 12 banche sotto la tutela di Bankitalia (tabella)

E per queste banche è stato il peso crescente dei crediti malati a mandare a gambe all'aria i conti. L'esempio più eclatante è proprio quello di Banca Marche finita commissariata l'altro ieri dopo che già a fine agosto la Banca d'Italia aveva detto stop alla gestione ordinaria. Nel caso dell'istituo marchigiano si è assistito all'emergere degli effetti della gestione dissennata dell'ex direttore generale Massimo Bianconi che ha lasciato sotto il tappeto ben 2 miliardi di crediti malati che per anni erano stati messi a bilancio come prestiti in bonis cioè riscuotibili.

Così non era e quei prestiti in sofferenza si sono tradotti in perdite. Oltre 750 milioni sono nel periodo 2012-metà del 2013. Un buco record che ha portato il capitale di base della banca al 4,3%, la metà di quanto richiesto dai regolatori per assicurare stabilità all'istituto. Storia analoga per la Carife, la Cassa di Ferrara che ha visto i suoi ex vertici operativi avventurarsi in investimenti immobiliari fuori dal territorio estense. Due sole inziative fallite che hanno prostrato i bilanci dell'istituto. Anche a Spoleto la gestione allegra dell'istituto ha portato la Banca d'Italia a intervenire con la messa in amministrazione straordinaria.

Di vecchia data (risale all'aprile del 2012) è il provvedimento che ha portato i commissari alla guida di Tercas la Cassa di risparmio di Teramo. Sembrava che la banca disastrata teramese interessasse al Credito Valtellinese che alla fine dopo aver studiato a lungo il dossier di una possibile aggregazione ha gettato la spugna. Il tema per tutte è non solo fare piazza pulita dei disastri delle gestioni ordinarie, ma in molti casi trovare nuovi capitali per ripristinare i ratio patrimoniali. E' la strada perseguita con insuccesso a Jesi dove occorreva trovare nuovi investitori disposti a entrare nel capitale della banca con almeno 400 milioni di risorse fresche.

Non si sono trovati e alla fine il commissariamento è parso inevitabile. L'altra possibilità è quella dopo aver pulito i bilanci di trovare una banca più grande in grado di salvare gli istituti sotto tutela. Ma anche questa appare un via poco praticabile. Il sistema bancario italiano deve razionalizzare le reti, chiudere gli sportelli in eccesso e farsi carico di nuove grane non appassiona nessuna delle grandi banche italiane. Ma anche la strada dei nuovi capitali è di difficile percorribilità. Chi si arrischia a entrare in banche la cui redditività è sottozero e che necessitano di tagli e ristrutturazioni per rimettersi in sesto? Alla fine il conto lo pagheranno dipendenti e vecchi azionisti che pagheranno i dissesti provocati in passato da manager che in realtà piccole hanno spesso fatto il bello e cattivo tempo. Credito facile agli amici spesso fuori dal territorio in cui opera la banca senza essere sottoposti a controlli. Veri e propri dominus che indisturbati hanno mandato al tappeto le banche che guidavano. Loro di certo non pagheranno il conto.

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