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Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2014 alle ore 07:07.
L'ultima modifica è del 23 gennaio 2014 alle ore 09:21.

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Ma quindi perché l'Italia cresce meno (o decresce di più)? È perché ha speso meno a deficit in questi anni di crisi o perché non avrebbe fatto quelle che vengono spesso chiamate riforme strutturali, cioè in poche parole non avrebbe reso più flessibile il lavoro (riducendo salari e cuneo fiscale)?

Gli esperti si dividono. «La differenza di prestazione è totalmente riconducibile al fatto che Irlanda, Inghilterra e Spagna hanno avuto la possibilità di stimolare le loro economie con deficit pubblici ben più alti rispetto a quanto è stato consentito all'Italia», spiega Marco Cattaneo, presidente di Cpi private equity.

«Ragionando per praticità sulle medie aritmetiche - continua l'analista - il deficit pubblico italiano 2013 (3,2%) è stato, in percentuale del Pil, pari a meno della metà rispetto alla media dei tre "paesi virtuosi" (6,8%). La domanda è quanto incidono sul Pil 3,6 punti di deficit annuo in più ? Un'ipotesi cautelativa è che avrebbero generato maggior Pil in proporzione 1:1. Cautelativa perché, in situazioni di domanda depressa come l'attuale, lo stimolo che i deficit producono sul Pil è più che proporzionale dato che maggior domanda implica maggior reddito e produzione, maggiore occupazione, ulteriore feedback positivo sulla domanda, ecc. E, inoltre, il maggior Pil implica maggiori entrate fiscali che compensano in parte il maggior deficit».

«È vero, d'altra parte, che la maggiore domanda interna a parità di condizioni tende ad aumentare l'import, "limando" il beneficio sulla produzione interna e sul Pil - continua Cattaneo che con Giovanni Zibordi ha scritto il libro "Una soluzione per l'euro", in uscita a febbraio, edizione Hoepli, proponendo l'idea dei certificati di credito fiscali -. Qui peraltro si sarebbe potuto facilmente parare il colpo destinando una parte del maggior deficit alla riduzione delle imposte sui costi di lavoro, quindi del cuneo fiscale. Con una spesa a deficit del 6,8% nel 2013 l'Italia sarebbe il Pil reale sarebbe cresciuto del 2% rispetto al 2012, dato significativamente migliore rispetto ai tre paesi "virtuosi", che hanno "svoltato l'angolo", che hanno "fatto le riforme"».

Secondo Daniele Guidi, responsabile dell'area investimenti di Bnp Paribas investment partners «Regno Unito, Spagna e Irlanda hanno sicuramente avuto un comportamento meno virtuoso dell'Italia nella riduzione del debito. Ma questo è stato possibile anche perché partivano da un livello di debito pubblico più basso mentre adottare tali politche per l'Italia avrebbe potuto compromettere la fiducia degli investitori internazionali. La possibilità di fare deficit è essenziale nelle fasi di contrazione ma il problema è a che a questo giro l'Italia non se lo è potuto permettere. Adesso che il peggio è alle spalle, peraltro, non avrebbe senso spendere a deficit. La ripartenza più rapida di queste economie è legata anche al fatto che sono più flessibili sul fronte del lavoro. Dall'esperienza di questa crisi l'Italia deve imparare ad essere più virtuosa nei momenti di crescita dato che dopo 20 anni di avanzo primario ha ridotto poco il debito pubblico. Se fossimo scesi sotto il 100% avremmo avuto più spazio per andare a deficit durante questa crisi».

Per Gabriele Roghi, responsabile della consulenza agli investimenti di Invest Banca «se è vero che la crisi finanziaria è stata provocata da un debito privato eccessivo (Spagna, Irlanda, Portogallo e l'epicentro stesso, cioè gli Usa, non hanno destabilizzato l'economia e la finanzia globale a causa del debito pubblico ma per gli eccessi di quello privato) è altrettanto vero che un debito che paga interessi, seppure bassi, oltre un certo punto toglie risorse vitali a investimenti e sviluppo che divengono sempre più opprimenti e asfissianti e alimentano un circolo vizioso da cui è molto difficile uscire. Il problema è comunque quello di ripagare gli interessi che sono il nostro dramma: secondo alcuni studi, dal divorzio del 1981 Tesoro-Banca d'Italia il nostro Paese ha pagato interessi per 3.100 miliardi di euro attuali, il 198% del Pil a fronte di un incremento nominale del debito di 1.500 miliardi. È questo il vero salasso che ha fatto alzare il debito: incrementare lo stock di debito con nuovo deficit renderebbe insostenibile la pressione fiscale e i tagli ai servizi».

Non la pensa così Cattaneo, secondo cui politiche di spesa a deficit contribuirebbero a migliorare il Pil più del debito e quindi a migliorare il rapporto debito/Pil: «Deficit più alti non sono stati consentiti all'Italia, perché spesso si dice che il maggior livello di debito pubblico "non lo consente". Bene, grazie al più alto livello del denominatore, anche il rapporto debito pubblico/Pil sarebbe stato migliore e sarebbe sceso dall'attuale 130 al 129%».

Le visioni (e le spiegazioni su crisi e via di uscita) non coincidono. Chi avrà ragione?

twitter.com/vitolops

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