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Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2014 alle ore 07:07.
L'ultima modifica è del 23 gennaio 2014 alle ore 09:21.

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(Corbis)(Corbis)

Il 2014 è cominciato con la schioppiettante dichiarazione di Matteo Renzi: «Non perdiamo più tempo, si può sforare il tetto del 3% sul deficit/Pil». Parole che fanno eco a quelle di Romano Prodi che sostiene ormai da mesi che bisognerebbe rimettere in discussione i parametri dei trattati europei «perché sono stati scritti 20 anni fa e nel frattempo il mondo è cambiato».

Il dibattito è aperto. Da una parte economisti di ispirazione keynesiana che sono favorevoli a politiche di spesa a deficit durante le fasi recessive, dall'altra economisti di matrice neo-liberista che spingono nella direzione di una riduzione della spesa pubblica, senza eccezioni anche nelle fasi di crisi. Senza dimenticare quelli che cambiano spesso idea.

Uscendo dall'impianto ideologico è possibile procedere per punti fermi. Pochi possono mettere in dubbio che gli Stati dell'Unione europea stiano crescendo in modo diverso, hanno tassi di inflazione diversi e producono deficit/Pil profondamente diversi.

Quanto all'inflazione quella che finora ne ha beneficiato di più in termini di cambio reale, perlomeno all'interno dell'area euro, è stata la Germania (avendo generato il 25% in meno rispetto all'Italia dal 2000 è come se avesse svalutato la propria divisa reale di un quarto rispetto a quella italiana).

Vediamo il deficit/Pil, ovvero il disavanzo annuo tra spese ed entrate di uno Stato (la cui somma storica va a cumulare il debito pubblico). Nel 2013 si sono distinti, a parte la Germania con una crescita modesta dello 0,5%, Regno Unito, Irlanda e Spagna. Il Regno Unito ha messo a segno una crescita dell'1,4%, l'Irlanda dello 0,6% mentre la Spagna ha perso complessivamente l'1,3% ma ha registrato un trend crescente negli ultimi mesi e ha fatto decisamente meglio dell'Italia (-1,8%).

Ma quanto hanno speso a deficit questi Paesi nel 2013 come forma di sostegno alla domanda, e quindi alla ripresa economica? Il Regno Unito il 6,1%, l'Irlanda il 7,6% e la Spagna il 6,7%.

L'Italia, invece, dovrebbe sforare di pochissimo il 3% (le ultime stime dell'Fmi indicano il 3,2%). In ogni caso l'Italia ha speso molto meno per sostenere la domanda aggregata dei tre Paesi che - a parte la Germania - sono stati tra quelli che hanno ricevuto i maggiori encomi (da oggi Madrid è anche uscita dal programma di aiuti dell'Ue) e che sono stati definiti "virtuosi" (anche se va ricordato in Spagna il tasso di disoccupazione medio è del 26%, solo di un punto più basso rispetto a quello della Grecia).

Se poi estendiamo il discorso al 2011 e osserviamo il deficit cumulato nel tempo le differenze nella spesa a deficit aumentano in modo esponenziale con Regno Unito al 21,8%, l'Irlanda al 28,3%, la Spagna al 27,1% e l'Italia al 9,8% (come sintetizzato in questa tabella).

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